Educazione ai valori: nasce il campo scuola degli alpini piacentini
Un campo scuola dedicato ai ragazzi e alle ragazze delle scuole medie tra i 10 e i 14 anni: l’idea è stata lanciata dall’Associazione nazionale alpini, sezione di Piacenza.
“La leva militare non c’è più – si legge nella nota di presentazione del campo scuola – la società fin quando procederà su valori effimeri, di esaltazione dell’immagine, non produrrà ricambi di uomini e donne pronti ad impegnarsi per la collettività. Per questo abbiamo deciso di ricominciare dai più piccoli, dalle generazioni pronte ad assorbire i nostri valori per formare i futuri volontari della Protezione civile”.
Il 5 maggio del 2022 è stata pubblicata la legge nr.44, che istituisce “la Giornata della memoria e del sacrificio degli Alpini”.
L'Istituzione di una giornata rivolta esclusivamente alla celebrazione della "Memoria" e del "Sacrificio" degli Alpini, rappresenta una circostanza unica, di rilevanza assolutamente straordinaria.
La Repubblica Italiana ha voluto concedere, un notevole riconoscimento agli Alpini, nel rendere omaggio, a coloro che si sacrificarono eroicamente durante la battaglia di Nikolajewka: l’atto conclusivo della tragica Campagna nella steppa russa, che divenne grazie al sacrificio di molti, la conclusione della drammatica, terribile e interminabile ritirata verso la salvezza solo per alcuni.
Nel 150° di fondazione del Corpo, le penne nere di Bobbio fanno memoria di nobili figure di Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
Testimonianze sulla vita del Generale Roberto Olmi
Da Balzago, storica terra degli Olmi e da Bruxelles attuale residenza, Roberto Olmi racconta con passione le vicende del nonno, generale di Corpo d’Armata con cuore alpino, di cui porta orgogliosamente il nome.
(Roberto Olmi)
"Mio nonno è nato a Bobbio il 9 maggio 1890 da Carlo, funzionario presso il Ministero delle Finanze a Varzi, e Luisa Garcèa, maestra in varie sedi (Bobbio, Varzi, L’Aquila), figlia del Garibaldino Antonio Garcèa e della pedagoga Giovanna Bertòla. Era un ragazzo vivace, che seguiva gli studi scolastici con profitto.
All’età di 17 anni annuncia in una lettera ai genitori la sua determinazione di abbracciare la carriera delle armi, piuttosto che studi universitari che avrebbero gravato sul bilancio familiare.
In effetti, grazie al brillante diploma di maturità conseguito nel giugno 1908, e per “benemerenze familiari” (un nonno Garibaldino), fu ammesso al Corso Allievi Ufficiali dell’Accademia militare di Modena nel dicembre dello stesso anno, con una borsa di studio che lo esentava dalla retta del primo anno di corso.
Terminato il triennio a Modena come sottotenente, nel settembre 1910 è assegnato al Corpo Alpino, come ardentemente desiderava. Frequenta dapprima la Scuola Centrale di Tiro di Fanteria a Parma, poi tra l’aprile 1911 e agosto 1912 serve nel 7° Alpini, dapprima nel battaglione Feltre, e dall’agosto 1912 nel battaglione Belluno.
Le sue note caratteristiche per il 1911 e il 1912 lo descrivono « calmo ed energico », dotato di buon ascendente morale sui soldati « grazie all’esempio e alla fermezza »; intelligente e dotato di buon senso pratico, « dimostra passione per lo speciale genere di vita degli Alpini (…) è resistente, buon marciatore e sopporta bene le fatiche della montagna ». Insomma, « ha tutte le qualità per riuscire in seguito un buon ufficiale ».
E’ mancato nel settembre 1968 quando io avevo 11 anni e mezzo.
Lo ho conosciuto quindi da bambino. Vedevo le sue medaglie, i cimeli che aveva in casa e mi raccontava tutte le storie e vicende che aveva vissuto e quindi ho sentito dalla sua bocca la sua versione.
Poi più tardi ho letto dei libri e ho approfondito.
(Generale di Corpo d’Armata Roberto Olmi)
Libia 1911 – 1913: Nella guerra italo-turca
“La carriera militare di mio nonno era cominciata sempre negli alpini in Libia. Era uscito dall’accademia militare di Modena come sottotenente degli alpini e il 13 febbraio 1913 è partito volontario a Napoli per Tripoli, dove sbarca tre giorni dopo e raggiunge il battaglione Feltre.
Benché la guerra italo-turca (1911-12) si sia conclusa vittoriosamente con il trattato di Losanna, e la Libia sia stata riconosciuta internazionalmente quale colonia italiana, in realtà l’Italia controlla effettivamente solo 7-8 principali località costiere della Tripolitania, mentre l’interno, e buona parte della Cirenaica restano da « pacificare », come si diceva allora.
E’ questo il caso del retroterra di Tripoli, l’altipiano del Gebèl occidentale, dove formazioni di guerriglieri berberi (dette ‘mehalla’) agli ordini del notabile locale Suleiman el Baruni, deputato al Parlamento ottomano, rifiutano di sottomettersi agli italiani.
(altopiano del Gebèl)
(Mehalla- guerriglieri berberi)
Il Feltre è inquadrato nella « colonna Cantore », reggimento speciale Alpino formato ad hoc per la Libia con quattro battaglioni sottratti ad altrettanti reggimenti schierati alle frontiere alpine : il Feltre del 7°, il Susa del 3°, il Tolmezzo dell’8° e il Vestone del 5°.
E’ parte integrante della I^ Divisione e comandato dall’allora colonnello, futuro generale Antonio Cantore, che diventerà noto come « l’eroe delle Tofane ».
L’invio di Alpini in terra africana non deve sorprendere : l’entroterra libico è un vasto altipiano con zone montuose dove proprio le loro specifiche qualità belliche e montanare erano utili allo svolgimento della campagna. Colonne mobili leggere dotate di elevata autonomia tattico-logistica erano idonee a contrastare la speciale guerra di sorprese e imboscate che si combatteva in Libia.
In questa guerra di Libia era, quindi,con il generale Cantore.
(Gen. Cantore)
Campagna nel Gebèl occidentale :
Il primo scontro coi ribelli della Tripolitania è la battaglia del Gariàn del 23.3.1913, che apre agli italiani le porte dell’altopiano.
A seguito della presa del presidio di Assàba da parte delle truppe italiane, il capo ribelle El Baruni fugge in Tunisia, le sue mehalla si sbandano e numerosi capi tribù locali fanno atto di sottomissione e giurano fedeltà al governo italiano.
Per il valore dimostrato in tale combattimento, il S. Ten. Olmi è decorato di medaglia di bronzo al valor militare « perché tenne sempre contegno esemplare e dimostrò fermezza unita a slancio e coraggio – Assàba, 23 marzo 1913 ».
“Energica avanzata contro i ribelli di El Baruni”, film del 1912”
In quella domenica (23 marzo 1913) accadde un episodio di grande umanità alpina. Il battaglione Tolmezzo fu il primo reparto ad entrare nella fortezza conquistata e si trovò davanti una scena umanamente straziante: una donna probabilmente una schiava nubiana che ferita a morte stringeva al petto il suo piccolo piangente di circa due anni. La donna poco prima di morire offrì a quei nemici che la attorniavano il suo bene più prezioso affinchè lo proteggessero. Gli alpini montanari friulani se ne presero cura con affetto. Dopo la battaglia il bimbo rientrò con gli alpini del Tolmezzo in Tripolitania e all’unanimità gli fu dato il nome di Pasqualino Tolmezzo.
Finita la guerra, Pasqualino arriverà in Italia a seguito degli alpini; diverrà ufficiale e in punto di morte chiederà di essere sepolto a Udine vicino agli alpini.
L’avanzata degli Alpini continua a marce forzate, sono prese le località di Misga e Kikla. Il 26 marzo la colonna Cantore, affiancata da quattro reggimenti di ascari eritrei, raggiunge Suadna, accolta dal locale caimacàn e da alcuni capi rimasti fedeli al nostro governo e che per tale motivo erano stati imprigionati dai ribelli.
(Ascari eritrei)
Il mattino del 27 gli italiani sono accolti come liberatori a Jefrèn, al suono delle fanfare e tra due ali di folla festante. Nel castello viene scoperta una fabbrica di munizioni in piena efficienza, gestita da un cittadino francese, tale Léon Laffitte, che confessa di essere stato al servizio prima dei turchi poi di El Baruni. Viene arrestato. La presa di Jefrèn ha ripercussioni favorevoli non solo sulla pacificazione del Gebèl, ma anche sulle regioni limitrofe e accelera il processo di disgregazione nelle file ribelli. L’avanzata della colonna Cantore si conclude nel Gebèl meridionale, con la sottomissione di Zintan e Fessato, e fino a Nalut, ai confini della Tunisia. Il 29 marzo ben 27 capi del Fezzàn e dell’Orfella si recano a Tripoli per fare atto di sottomissione. Le sottomissioni di tribù si moltiplicheranno nell’aprile successivo.
Operazioni in Cirenaica orientale contro i Senussi
Pacificato il Gebèl occidentale, la colonna Cantore si imbarca, sul piroscafo Minas, alla volta di Derna, per affrontare un’altra prova. In Cirenaica orientale è in corso la ribellione della potente confraternita musulmana dei Senussi. Spesso inquadrate da ufficiali e regolari dell’esercito ottomano, tra i quali Enver Bey e Aziz Bey, le mehalle senussite conducono frequenti aggressioni e colpi di mano a partire dai loro campi fortificati, alcuni dei quali dislocati a distanza ravvicinata dalle opere di difesa italiane attorno a Bengasi, Derna e Tobruk.
(Mujahidin Senussi)
Con la presa del campo fortificato di Ettangi nell’entroterra di Derna il 18-19 giugno 1913, gli Alpini della Colonna Cantore ristabiliscono in pochi giorni la critica situazione battendo le truppe di Enver Bey e riconquistando tutte le posizioni perdute nel maggio precedente.
A seguito di quel fatto d’arme il S.Ten. Olmi riceve un encomio solenne perché «comandò il plotone con calma, fermezza e coraggio dando lodevole esempio ai suoi dipendenti. Ettangi 18 giugno 1913 »
Il 17 luglio 1913, dopo « gli ozi di Derna », la colonna Cantore si imbarca di nuovo, alla volta di Tobruk, da dove, a marce forzate, raggiunge e conquista il campo fortificato di Ras Mdauar (18 luglio 1913), costringendo alla ritirata le truppe di Enver Bey.
Da Tobruk, la colonna si trasferisce a el Merg (l’attuale el Marj), ove il sottotenente Olmi, pur continuando a comandare il suo plotone, funge da interprete di arabo cirenaico nel piccolo stato maggiore di Cantore, acquartierato nel locale castello. La sua conoscenza della lingua deve essere stata essenziale, ma sufficiente per interrogare indigeni e trattare con capi locali.
Il 21 settembre 1913 Olmi è promosso tenente.
All’inizio del 1914 da el Merg Cantore si lancia alla presa di el Carruba e di Marana.
La colonna Cantore rimarrà in Cirenaica fino all’agosto 1914, tuttavia con lo spettro del conflitto mondiale che si stava avvicinando, il rimpatrio del battaglione Feltre del 7° Alpini avviene già il 20 gennaio 1914, da Tolmetta (l’antica Tolemaide), in Cirenaica, con sbarco a Siracusa il 23, donde raggiunge gli acquartieramenti del battaglione Belluno, sempre nel 7° Alpini, di cui il ten. Olmi comanda la Sezione mitragliatrici fino all’agosto del 1914.
La campagna di Libia, in cui il tenente Olmi riceve il battesimo del fuoco, è una tappa fondamentale per la sua formazione militare. Secondo i suoi superiori egli « ha dimostrato d’essere robusto e resistente alle fatiche della campagna e al clima della Libia ».
Cantore giudica che « il Ten. Olmi in Libia ha fatto molto bene, è molto intelligente, è di ottimo carattere e promette di farsi un ufficiale di valore”.
Cornice storica
La guerra italo-turca (nota in italiano anche come guerra di Libia), fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica.
Le ambizioni coloniali e imperialistiche spinsero l'Italia a impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al Fezzan, avrebbero costituito la Libia dapprima come colonia italiana e in seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato anche il Dodecaneso nel Mar Egeo; quest'ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna nel 1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto.
“Tripoli bel suol d’amore” era il ritornello della canzone più in voga a quel tempo.
La guerra registrò numerosi progressi tecnologici nell'arte militare, tra cui, in particolare, il primo impiego militare dell'aeroplano sia come mezzo offensivo sia come strumento di ricognizione (furono schierati in totale nove apparecchi. Il 23 ottobre 1911 il pilota capitano Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche in missione di ricognizione e il 1º novembre dello stesso anno l'aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano la prima bomba aerea (grande come un'arancia, si disse) sulle truppe turche di stanza in Libia. Altrettanto significativo fu l'impiego della radio con l'allestimento del primo servizio regolare di radiotelegrafia campale militare su larga scala, organizzato dall'arma del genio sotto la guida del comandante della compagnia R.T. Luigi Sacco e con la collaborazione dello stesso Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto libico registrò il primo utilizzo nella storia di automobili in una guerra: le truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat Tipo 2 e motociclette SIAMT.
(Fiat Tipo 2)
(motocicletta SIAMT- Stabilimento Italiano Applicazioni Meccaniche Torino)
(aereo italiano in Libia)
“Mio nonno mi raccontava anche diversi aneddoti sulla guerra di Libia; diceva che i libici avvelenavano i pozzi e nonostante le avvertenze dei comandi italiani, gli àscari eritrei bevevano l’acqua e purtroppo morivano.
Poi mi raccontava della Libia un fatto curioso:
avevano in dotazione delle mitragliatrici con raffreddamento ad acqua e per fare il caffè mettevano un po’ di caffè nell’acqua della mitragliatrice, sparavano dei colpi così che l’acqua si riscaldava e ottenevano un caffè caldo da bere. Non so però quanto fosse buono…”
(Alpini in Libia)
(Alpini in Libia)
(Alpini in Libia)
(Alpini nel deserto - 8 luglio 1912: il quadrato degli Alpini che resiste al furioso attacco dei nemici)
Storia della Libia italiana 1911 - 1940
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
Guerra di mina sulle Dolomiti
“Durante la Grande Guerra, mio nonno era stato nella zona delle Tofane precisamente nella val Travenanzes.
Faceva parte, come capitano, del 7° Reggimento Alpini della Brigata Alpina Julia.
Lui aveva un pallino: voleva assaltare il Lagazuoi che avrebbe fatto saltare con delle mine.
Per fortuna faceva troppo freddo e c’era troppa neve e non sono riusciti: magari ha salvato la pelle.”
(Il capitano degli alpini R.Olmi su una teleferica di guerra -1916. Sul cappello il simbolo del 7°Alpini)
Cornice storica
La guerra di mina del Lagazuoi è stata una guerra bianca sul fronte italiano (1915-1918) durante la prima guerra mondiale. L'obiettivo dell'attacco italiano era quello di conquistare le posizioni difensive situate sulla cima del Lagazuoi e controllare gli accessi al passo di Valparola.
(cartina Lagazuoi 1915)
Durante il corso della prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917, il Lagazuoi fu teatro di aspri scontri tra le truppe italiane e quelle austro-ungariche, che costruirono complesse reti di tunnel e gallerie scavate all'interno del Piccolo Lagazuoi e tentavano a vicenda di far saltare in aria o di seppellire le posizioni avversarie con il metodo della guerra di mina.
(galleria del Lagazuoi)
(Sentiero della Cengia Martini oggi. Baracca degli ufficiali ricostruita dagli alpini della Taurinense)
(Postazioni e sentieri sul Piccolo Lagazuoi)
Tra il 18 e il 19 ottobre 1915 due plotoni di Alpini occuparono alcune posizioni sul versante sud del Piccolo Lagazuoi, tra le quali una sottile cengia ribattezzata Cengia Martini in onore del maggiore Ettore Martini, che attraversa la parete da ovest a est ed era strategicamente importante, mentre le posizioni austro-ungariche si trovavano sulla sommità del monte.
(Ettore Martini – 3° Alpini Battaglione Val Chisone)
(baracche degli alpini sul sentiero della Cengia Martini)
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ettore Martini assunse il comando del battaglione Val Chisone ma essendo in convalescenza prese servizio solo nell'agosto del 1915. Con il Val Chisone fu artefice della conquista della cengia sul piccolo Lagazuoi. Quella postazione avanzata, sul fondo della Val Costeana, risulterà una vera spina sul fianco degli Austriaci che la batteranno di continuo dall'alto, dal basso, di fianco e addirittura dall'interno della montagna stessa con poderose mine che non varranno però alla sua conquista da parte degli attaccanti. Attorno alla "Cengia Martini" la lotta infurierà per tre anni e solo la ritirata italiana del novembre 1917 (dopo la "rotta di Caporetto") porrà termine alla contesa. Per le azioni sul Piccolo Lagazuoi Martini si meritò una medaglia di bronzo, una d'argento, una croce al merito e la croce di cavaliere della Corona d'Italia.
(baracca ufficiali sulla Cengia Martini- 1916)
Per cacciare gli avversari da queste posizioni, fortificate e scavate nella roccia, gli austriaci fecero esplodere quattro mine, la più potente delle quali il 22 maggio 1917 fece saltare in aria una parte della parete alta 199 metri e larga 136. Nonostante ciò, le posizioni italiane sulla cengia non vennero abbandonate.
(Alpini che si arrampicano sul sentiero della Cengia Martini - 1916)
A loro volta gli italiani scavarono una galleria di duecento metri di dislivello all'interno della montagna, fino all'anticima del Piccolo Lagazuoi; il 20 giugno 1917 fecero brillare sotto di essa 32.664 chili di esplosivo e successivamente, attraverso la galleria, tentarono la conquista delle postazioni intoccate dall'esplosione. L'azione, anche stavolta, non ebbe né vincitori né vinti: gli austriaci ripiegarono e rinforzarono rapidamente le trincee scampate all'urto della mina.
(esplosione mina austriaca sul Lagazuoi)
L'anticima cadde in mano italiana, ma tentare di occupare l'intero ripiano del Piccolo Lagazuoi avrebbe portato ad ulteriori gravi perdite tra gli Alpini. Il cratere provocato dalla mina italiana è tuttora individuabile, assieme all'immenso accumulo di detriti scivolati a fondovalle, sia di questa che delle altre mine austriache. La quarta mina austro-ungarica, esplosa nel settembre del 1917, ebbe una potenza minore rispetto a quella del maggio precedente e portò all'ennesimo nulla di fatto. Dopo la battaglia di Caporetto gli italiani si ritirarono da tutte le loro posizioni e le operazioni militari nella zona ebbero fine.
(Il Lagazuoi visto dal fronte italiano. Da notare i due grandi ammassi detritici accumulati dopo le innumerevoli esplosioni di mina dei due eserciti.)
La guerra di mine
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
“Mio nonno ha lasciato dei diari non della 1^ guerra mondiale: uno sulla guerra di Spagna e uno sulla campagna di Russia.
Però sulla grande guerra ha scritto dei racconti basati sulle sue esperienze in chiave umoristica; aveva scritto un volume intitolato “ Il buon umore e la guerra” .
Il suo humor lo aiutava nelle situazioni difficili.”
Novembre 1917 – Fatti d’armi a Cima Campo
“Al comando del battaglione “Monte Pavione” composto da circa 800 alpini nell’ambito del 7° Reggimento, mio nonno schierò sulla direttrice dei monti che vanno dalla val Sugana alla valle del Cismon i suoi soldati. Per quanto riguarda la 1^ guerra mondiale sulla vicenda di Cima Campo c’è un libro molto ben fatto che descrive questo episodio basato sui diari del reparto che lo storico è andato a consultare a Roma nei musei dove si conservano tutti i diari ufficiali. E in questi diari c’è esattamente quello che mi aveva raccontato mio nonno di quella battaglia. ”
Cornice storica
Motto del 7° Alpini : "Ad excelsa tendo"
I battaglioni del 7° Reggimento Alpini operavano nella Grande Guerra in Val Brenta, alla Forcella Lavaredo, nell’Alta Val Cordevole, sulle Tofane, nella zona della Marmolada e in val Cismon.
Lo storico Luca Girotto scrive nel libro “La lunga trincea 1915 – 1918”: Il sacrificio del Monte Pavione a cima Campo.
Il 24 ottobre 1917 era stato un giorno del tutto simile ai precedenti per i giovani alpini del btg. Monte Pavione sulle frastagliate creste del massiccio di Cima d'Asta: nelle loro trincee, ormai rafforzate da oltre un anno di laboriosa permanenza, la vita scorreva tranquilla, quasi noiosa. Erano tutte posizioni tra i 2300 e i 2500 metri, sopra pareti quasi inaccessibili o alla testata di angusti valloni: sorprese da parte austriaca non se ne dovevano temere. Eppure quel giorno, con i successivi, sarebbe passato alla storia.
Sulle remote vette di Rava le prime voci del disastro di Caporetto arrivano con le salmerie all'inizio di novembre, ma “radio scarpa” questa volta è confusa, incerta; l'enormità della tragedia rende la stessa assai difficile da credere: centinaia di migliaia di prigionieri, migliaia di cannoni catturati, perfino Udine in mano austriaca!
(Alpini)
Poi, il 4 novembre, la svolta: arriva l'ordine in apparenza innocuo che il comandante del battaglione proceda allo studio di un “ipotetico” arretramento sulla linea Asolone-Solarolo nel massiccio del Monte Grappa.
Il magg. Olmi capisce immediatamente di che si tratta, esegue e resta in attesa.
Il 7 ecco i temuti ordini: la ritirata avverrà tra il 7 e l'8 novembre per le fanterie, le artiglierie e i servizi che saranno i primi a ripiegare; in giornata il Pavione entra a far parte, col Val Brenta e Natisone, del cosiddetto gruppo Sirolli che assieme agli altri due gruppi Streva e Dalla Bona(dai nomi dei rispettivi comandanti) costituisce il gruppo di copertura del ten. col. Piva con il compito di proteggere la ritirata del XVIII° corpo d'armata tra la Valsugana e il Primiero.
Al gruppo Sirolli , l'8 novembre, spetta estendere la sua occupazione a sud del Cimon Rava per sostituire i reparti che si sganciano in successione; anch'esso poi, la sera del 9, inizierà il ripiegamento in fasi successive, prima sulla cosiddetta “linea gialla”, la sera del 10 sulla “linea verde”, la sera dell'11 su quella “azzurra” ed infine, il 12, tra monte Asolone, monte Pertica e Solarolo. Ma prima dovranno essere distrutte baracche, teleferiche, depositi di viveri e vestiario; il tutto senza attirare l'attenzione del nemico.
(Il progressivo arretramento italiano(7,9 e 10 novembre), le direttrici d’attacco austriache e lo schieramento della “colonna Piva”.)
Tutto procede alla perfezione fino al mezzogiorno del 10, quando i telefonisti commettono l'imprudenza di incendiare con troppo anticipo le stazioni a monte dei loro impianti.
Gli austriaci se ne accorgono e già all'imbrunire le loro truppe da montagna premono con molestia sulla linea gialla. Dalla già occupata conca di Tesino e dalla val Cismon gli imperiali dirigono quindi verso Cima Campo e cima Lan con l'intenzione di puntare poi su Primolano. Ciò viene giustamente visto come un potenziale disastro dal comandante del XVIII° corpo, gen. Tettoni, il quale sa bene che le sue truppe della zona Strigno-Scurelle sono in grave ritardo sulla prevista tabella di marcia e rischiano di trovare la strada della ritirata chiusa alle loro spalle da una troppo rapida calata degli austriaci. Inoltre non è ancora iniziato lo sfilamento per Primolano di una grossa colonna in ripiegamento dal bellunese: la sua sorte sarebbe segnata se la truppe da montagna austriache non venissero trattenute sui monti.
Ecco quindi che, il mattino dell'11, giunge da Cismon l'ordine per il maggiore Olmi di non spostarsi sulla retrostante posizione di Col del Gallo (linea azzurra) ma di rimanere ad ogni costo sui rilievi costituenti la linea verde.
Detto, fatto: per l'alba dell'11 gli 800 alpini del MontePavione, assieme ad una cinquantina del Val Natisone, occupano tutta la serie di alture che tra il precipizio sulla Valsugana ed il solco del torrente Cismon si oppongono alla progressione dei reparti imperiali.
Perno fondamentale della linea difensiva del Pavione è l'imponente complesso corazzato di Cima Campo chiamato forte Leone. Si trattava della fortificazione più potente costruita dagli italiani a ridosso della linea di confine tra il corso dell'Adige e la Marmolada: scavato in gran parte nel versante stesso del rilievo da cui mutua il nome, il suo armamento principale consisteva all'inizio in 6 cannoni da 149A sotto cupole di 5 metri di diametro e 16 centimetri di spessore poste sulla copertura; 3mitragliatrici in casamatta; 5 mitragliatrici Gardner in torrette blindate “a scomparsa”(cioè retrattili) ed un cannone automatico per la difesa del fronte di gola completavano la dotazione sussidiaria.
(Forte Leone di Cima Campo, costruito nella roccia. Si vedono i fori dai quali spuntavano i cannoni)
Un tale complesso di mezzi d'offesa e di difesa avrebbe potuto costituire un ben difficile superabile ostacolo per qualsiasi attaccante.. se la cronica penuria italiana in fatto di artiglieria non avesse causato, tra il 1915 e la fine del '16, il disarmo completo del forte i cui cannoni vennero ritenuti più necessari sulle linee di Valsugana e del Lagorai.
Con la ritirata cima Campo tornava in prima linea, ma nulla ormai restava dell'originaria potenza della fortezza: dalle cupole occhieggiavano falsamente minacciosi 6 tronchi d'albero verniciati di nero e destinati ad ingannare, come effettivamente avvenne, l'osservazione aerea austriaca. All'interno, magazzini vuoti, camerate deserte, corridoi silenziosi; vuota pure la polveriera data l'assenza di artiglierie.
(Forte Leone – Lato anteriore)
Agli Alpini non rimaneva che sistemarsi alla meglio, approfittando delle spesse protezioni e del vasto complesso trincerato che circondava il rilievo su cui sorgeva l'opera; e così fecero.
Nel mattino dell'11, reparti austroungarici provenienti dalla Valsugana attraverso la conca del Tesino e da passo Rolle lungo la valle Cismon occupavano Lamon. Poco dopo iniziava il cannoneggiamento dei forti , ritenuti pienamente operativi, con la pronta risposta delle 3 batterie da montagna italiane impegnate senza pausa per tenere in soggezione il nemico.
(Fucilieri)
Nel primo pomeriggio, l'improvviso cedimento delle esauste compagnie del battaglione Cividale sulle pozioni a cavallo del Cismon, scopriva il fianco destro di cima Lan causando, all'alba del 12, la cattura dell'intero plotone esploratori del Val Brenta stesso nei dintorni del ponte di Frassenè.
La minaccia d'aggiramento non faceva tuttavia desistere gli alpini, i quali per tutta la sera, spostando continuamente nel bosco le poche mitragliatrici, rallentavano la marcia dei Kaiserschutzen.
(Mitraglieri alpini nella valle del Cismon - 1917)
All'alba del 12 il Monte Pavione era ormai spezzato in due tronconi: uno, quello orientale, in lento ripiegamento su Arsiè proteggeva ancora il fianco della conca di Primolano; l'altro, quello occidentale, teneva ancora il margine dell’altopiano di Celado.
(Forte Leone)
Verso le 8.00 del 12, con una delle ultime comunicazioni telefoniche dal comando di corpo d'armata, perveniva al magg. Olmi a cima Campo l'ordine di resistere ad oltranza con le truppe disponibili attorno al forte (il comando di battaglione, la 148^ e resti della 95^ compagnia) perchè non tutte le unità italiane in ritirata avevano oltrepassato la stretta di Primolano.
Fino alle 9.00 il bombardamento austriaco martellò le trincee tra l'opera corazzata e Col Mangà, quindi prese a battere insistentemente la fortezza ove restavano solo lo Stato Maggiore, alcuni feriti con l'ufficiale medico ed il cappellano del battaglione. Si susseguono diversi assalti in parte respinti dagli alpini. Alle 13.00 il comando austriaco, ormai esasperato, getta nella fornace, quasi tutte le truppe di cui dispone nelle prime linee: da monte Celado attaccano ancora i Kaiserschutzen mentre da malga Campo e dal fondo di val Sermana avanzano i reparti della 1^ brigata alpina; resta in riserva il battaglione degli Shutzen volontari dell'alta Austria. L'assalto sorretto dal tiro di batterie da 75 e 105 mm, procede su tre lati, lento ma inarrestabile. Cade per primo Col Mangà verso le 14.30; alle 15.00 Col Gnela; fino alle 15.30 gli alpini resistono sulle posizioni all'esterno del forte, appiattiti nelle trincee, mentre dietro a loro torreggiano imponenti(ed impotenti) le vuote cupole del 149.
Manca poco alle 16.00 quando la pressione avversaria obbliga il magg. Olmi ad ordinare ai superstiti il ripiegamento all'interno del perimetro della fortezza: vengono distribuite le restanti scorte di munizioni e bombe a mano, avanzi dell'ultimo rifornimento giunto al mattino da Primolano, giusto in tempo per impedire ad alcuni ardimentosi nuclei austriaci di scendere nel fossato o inerpicarsi sulle mura. Le armi automatiche ancora efficienti vengono disposte sui 4 lati, presso le cupole, e gli alpini guarniscono le feritoie del cortile posteriore e la trincea di cemento che contorna il blocco delle artiglierie.
Alle 16.30 viene lanciato nella mischia anche il battaglione degli Schutzen volontari dell'Alta Austria, affiancando il 164° Landsturn nell'ultimo assalto; proprio in quegli attimi, dal vicino forte di Cima Lan s'innalza una nera colonna di fumo che segna tra fragorose esplosioni la fine dell'opera gemella.
Verso le 17.00, il te. Col. Sirolli, comandante del gruppo alpino, chiama da Cismon (quel filo telefonico ancora intatto rappresenta un vero miracolo) elogiando il battaglione ed annunciando che tutti i reparti del XVIII° c.d'a. hanno oltrepassato il ponte sul torrente Cismon: gli alpini si ritirino pure ora, dato che anche i forti di Primolano sono stati sgomberati e stanno per essere fatti saltare.
Olmi risponde con fierezza che il suo reparto è ormai circondato, che è lieto di apprendere che il sacrificio del Pavione abbia salvato i reparti di val Brenta e di Val Cismon dalla cattura e che cercherà comunque con ogni mezzo di aprirsi la via verso il Grappa.
(Il Forte Leone appena catturato dagli austriaci nel 1917- foto d’archivio)
Novembre 1917
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
(Le vuote cupole corazzate del forte di Cima Campo 12 novembre 1917)
La conversazione non si è ancora interrotta quando un terrificante boato scuote la conca di Primolano : la tagliata della Scala e quella della Fontanella sono saltate in aria.
Nel forte, assieme ad Olmi, rimanevano a questo punto 12 ufficiali e circa 300 uomini, dei quali solo una cinquantina indenni, quasi privi di munizioni e granate. Ma gli alpini non erano ancora domi: Olmi e il comandate della 148^ organizzavano un'ultima disperata sortita dalla postierla corazzata meridionale, vicino all'ormai vuota polveriera, contando sulla nebbia e sull'oscurità incipiente. Si disponeva che tutti gli uomini efficienti spostassero la penna del cappello in avanti, nell'ingenuo tentativo di confondere le idee al nemico simulando le “Spielhanstoss(pennacchio) dei Kaiserschutzen, preparandosi all'estrema lotta.
(Kaiserschutzen)
Alle 18.00 la nebbia, che già copriva Col Gnela, arrivava al forte: alle 18.30 la squadra del sergente Pederiva dalle feritoie della facciata sud e quella del sergente Dall'Agnolo di Mellame da quelle del muro del cortile, effettuavano un'ultima scarica con le poche decine di cartucce rimaste, mentre le ultime SIPE (bombe a mano italiane) volavano verso il ghiaione su cui risalivano gli Schutzen; nello stesso istante la postierla blindata sud si apriva e gli alpini ancora validi iniziavano ad uscire in silenzio. Ben presto però il nemico si accorse dell'espediente ed iniziò a sparare nel buio, con le mitragliatrici, contro la porta ferrata riuscendo ad interrompere il flusso dei fuggitivi; solo una ventina di questi riuscì quindi a scampare alla cattura, gettandosi a rotta di collo giù per boschi e rocce.
Dall'interno della fortezza assediata, nel frattempo, il magg. Olmi, allo scopo di evitare ulteriori inutili spargimenti di sangue, comunicava senza ulteriori indugi la propria resa ad un ufficiale del 164° Landsturn. Senza più incontrare resistenza, gli austriaci entrarono dunque nella temuta opera corazzata, catturata pressochè intatta, raccogliendo nel piazzale i superstiti italiani e constatando con stupore l'assenza di qualsivoglia pezzo d'artiglieria nelle minacciose cupole girevoli: i tronchi d'abete avevano egregiamente sostenuto fino all'ultimo il loro ruolo di simulacri , trattenendo artiglierie nemiche per due lunghi giorni!
Un episodio particolarmente toccante si verificò in questo frangente quando un cappellano austroungarico che aveva smarrito la propria dotazione di Olio Santo, vedendo il cappellano del Pavione , pur esso prigioniero, aggirarsi tra i feriti, lo supplicò di dargliene un poco del suo, se ne avesse avuto, per impartire l'estrema unzione ad alcuni austriaci moribondi. E così avvenne, nella silenziosa commozione di vincitori e vinti.
Al magg. Olmi, per l'eroico comportamento tenuto dal suo reparto nel fatto d'armi, il comandante austriaco concesse l'onore di conservare la pistola d'ordinanza durante la prigionia.
“Mio nonno fu quindi catturato il 12 novembre 1917 dopo aver combattuto strenuamente alla testa del suo battaglione e condotto in un campo di concentramento in Serbia credo, dove rimase per un anno e dove ha imparato il serbo-croato.
(Commemorazione dei fatti d’armi al Forte Leone)
Però quando è finita la guerra e lo hanno rilasciato gli hanno fatto un processo perché era un atto dovuto: se qualcuno si arrendeva al nemico era un sospetto traditore. Lui era molto arrabbiato perché pensava di aver diritto ad una medaglia per il successo che aveva raggiunto ; il suo colonnello lo aveva lodato… e invece lo hanno messo sotto inchiesta.
Alla fine gli hanno dato una croce di guerra al valor militare con la seguente motivazione:
“Per la fermezza e l’abnegazione di cui diede prova, alla testa del suo reparto, in condizioni di resistenza disperate”- Cima Campo 12 novembre 1917.
Secondo lui, però, questa impresa che è ricordata nei libri meritava ben altro.
Di questi avvenimenti si fa memoria ogni anno.
(Cima Campo. Commemorazione italo austriaca per non dimenticare)
So che degli altoatesini che erano nell’esercito imperiale vanno e ricordano quegli avvenimenti come loro vittoria. Ho trovato anche delle memorie di ufficiali austriaci che con grande disprezzo dicono “italiani codardi, si sono arresi”.
Celebrano la loro vittoria, ma in realtà sono stati tenuti in scacco da 800 alpini contro due divisioni se non erro di kaiserjager e altre truppe scelte.
(Altoatesini a Cima Campo)
Subito dopo la guerra il nonno era nella Commissione d’armistizio con l’Austria a Klagenfurt.”
Dopo la Grande Guerra fu liberato e tornò in Italia.
Nel 1922 sposò a Torino la signorina Jolanda Maria Apollonia Carletti conosciuta anche con il nome Jo’ di Benigno.”
Cornice storica
(Jo di Benigno)
Jole di Benigno era nata a Larnaca (Cipro) il 25 febbraio 1902. Alla morte del padre si era trasferita in Italia a Torino. Qui conobbe e sposò l’allora Maggiore dell’Esercito Roberto Olmi che frequentava la scuola di guerra.
Jole seguì allora la carriera del marito: nel 1922 addetto al comando del corpo d’armata di Trieste; nel 1926 comandante del battaglione alpini di Belluno; nel 1927 tenente colonnello al 19° reggimento fanteria a Catanzaro; nel 1931 al 62° reggimento fanteria a Parma, nel 1933 a Como dove veniva promosso colonnello.
Nel frattempo Jole Olmi arricchiva la sua cultura e divenne scrittrice di romanzi di successo.
Nel dicembre 1939 Roberto Olmi, ormai generale, fu trasferito a Roma, ma la guerra lo tenne quasi sempre lontano dalla città dal 1940 al 1945.
La moglie visse dal dicembre 1939 ininterrottamente a Roma; fu impiegata al Ministero della Guerra e, poi, assistente del Ministro Antonio Sorice nel 1943.
È utile ricordare che Jo Di Benigno, per gli speciali incarichi al Ministero della Guerra in quei cruciali giorni di settembre 1943, scrisse un importante testo intitolato Occasioni mancate - Roma in un diario segreto 1943 –1944.)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
Spagna 1937 – 1939: Nella guerra civile tra nazionalisti e democratici popolari
“Dopo la grande guerra, quindi, mio nonno è stato in diverse guarnigioni un po’ dappertutto in Italia : è stato in Calabria a Catanzaro, è stato Chieti, poi a Como, a Trieste e a Milano.
Sempre negli alpini?
No.
Prestò servizio anche nella Fanteria con spirito di abnegazione e fedeltà all’esercito e alla monarchia.
(Comandante Roberto Olmi)
Raggiunse in carriera il grado di Generale di Corpo d’Armata della Fanteria ma sempre con cuore alpino indossava il prestigioso cappello nelle adunate e in tante ricorrenze.
Ha girato un po’ dappertutto ma sempre nella fanteria.
Poi nel 1937 è partito come volontario in un corpo di spedizione in Spagna. Lui è andato due volte in Spagna: una volta nel ’37 e una volta nel’39.
Da quello che ho capito, nel ’37 non aveva un comando: era addetto allo stato maggiore , faceva delle missioni di collegamento e raccontava che c’era un po’una lotta tra tanti ufficiali che volevano fare carriera: la Spagna era vista come un trampolino di lancio per avanzare in carriera nell’apparato fascista.
Intanto aveva cambiato arma, era diventato carrista perché si era entusiasmato a questa nuova arma.
Nel ’39 è stato comandante del raggruppamento carri leggeri ; erano piccolissimi carri che nella seconda guerra mondiale avrebbero fatto una brutta fine , ma in Spagna contro le fanterie delle brigate internazionali erano molto efficaci, rapidi, corazzati quanto bastava contro delle armi leggere.
(carro leggero)
C’è un rarissimo filmato dell’Istituto Luce che ritrae mio nonno durante un’azione verso Casteldans in Catalogna nella marcia verso Barcellona.
(mio nonno che dirige personalmente le operazioni)
Lui racconta nel suo diario che c’erano rivalità tra italiani: da una parte i fascisti della divisione Littorio, che nella propaganda era sempre lei protagonista, e dall’altra i volontari come mio nonno che invece comandava il raggruppamento carri e dimostrava di essere più efficiente.
La campagna di Spagna si conclude con la presa di Barcellona; i suoi carri sono stati i primi ad entrare in città.
C’era il giornale quotidiano El Pais che titolava:” El libertador de Barcelona gheneral Roberto Olmi” .
Sono andati per prima cosa alla fortezza di Montjuic e hanno liberato tutti i prigionieri politici; avevano trovato atrocità, entrambe le parti fucilavano, ammazzavano. Avevano trovato una cantina piena di preti ammazzati e bruciati.
(Castello di Montjuic)
Quindi nella guerra di Spagna aveva fatto azioni di movimento come nella battaglia di Santander nelle Asturie ,da lì la discesa verso la Catalogna e alla fine la presa di Barcellona.
E con la Littorio che gli diceva :”Va indietro, se avanzi ti spariamo noi!”
(Ossario contenente i resti dei soldati italiani caduti durante la Battaglia di Santander)
Trovava che gli spagnoli non erano abbastanza veloci, lui voleva avanzare velocemente ma la strategia di Franco era di avanzare molto lentamente e di fare tutta un’epurazione durissima e questo lui non lo aveva capito: i franchisti volevano controllare bene il territorio fucilando un sacco di gente.
(continua)
Cornice storica
(La guerra civile spagnola (nota in Italia anche come guerra di Spagna) fu un conflitto armato nato in conseguenza al colpo di Stato militare del 17 luglio 1936, che vide contrapposte le forze nazionaliste guidate da una giunta militare, contro le forze del legittimo governo della Repubblica Spagnola, sostenuta dal Fronte popolare, una coalizione di partiti democratici che aveva vinto le elezioni nel febbraio precedente. Obbedendo a un piano prestabilito, la guarnigione militare di stanza nel Marocco spagnolo si era ribellata al governo della Repubblica, e nei tre giorni successivi un gran numero di unità militari al comando di cospiratori si sollevarono anche sul territorio metropolitano, cercando di assumere il controllo di più vaste aree del paese e di saldarsi le une con le altre.
Questo conflitto coinvolse vecchie e nuove potenze internazionali, soprattutto Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Sovietica, che direttamente o indirettamente si confrontarono nelle vicende spagnole, sia a livello diplomatico, sia con un sostegno concreto in uomini e armi alle due fazioni. Nonostante la politica di appeasement proposta da Regno Unito e Francia, che si proponeva di evitare qualsiasi ingerenza nel conflitto - ma che di fatto favorì le forze nazionaliste - le altre tre potenze fornirono grossi quantitativi di armi e uomini alle parti in lotta: l'Italia fascista e la Germania nazista ebbero un peso determinante a favore della causa nazionalista mentre l'Unione Sovietica si impegnò a rifornire armi alla Repubblica. Allo stesso tempo migliaia di volontari spinti dagli ideali di libertà e democrazia, si recarono a combattere in Spagna nelle file dei repubblicani, dando vita alle Brigate internazionali, che comprendevano uomini di circa cinquanta nazionalità diverse, i quali diedero un importante contributo militare e morale alle forze armate repubblicane, ottenendo allo stesso tempo un grosso risalto internazionale dovuto alla militanza e all'appoggio dato loro da decine di intellettuali antifascisti.)
“Dopo la Spagna è stato a Milano.
Nel 1940, quando la guerra è scoppiata, è stato volontario di nuovo non in un reparto combattente ma in una specie di unità logistica che doveva migliorare la logistica dell’attacco italiano alla Francia.
(Fanteria italiana varca il confine con la Francia)
Anche qui ha raccontato cose grottesche. Ad esempio: c’era il SIM, il servizio informazioni militari e alla domanda: “ Avete la cartina delle fortificazioni francesi?” La risposta è stata : “Certo” .
“Allora mostratela.”
Risposta:”No non si può è segreta.”
E cose del genere.
Poi è stato incluso nella commissione d’armistizio con la Francia e ha avuto varie sedi: è stato a Chambery per esempio ma poi è stato circa un anno a Marsiglia , forse la sede più importante :
la sua commissione doveva verificare che da parte dei francesi dell’esercito di Vichi si ottemperasse alle limitazioni in materia di armamenti al deposito di armi pesanti.
Invece nel governo di armistizio detto di Vichi, collaborazionista, in realtà c’era una sorta di resistenza, c’era il “service du camouflage” ( mio nonno non lo sapeva a quell’epoca) , che doveva sottrarre la più grande quantità possibile di cannoni, carri armati e nasconderli per il momento della riscossa.
Cornice storica
(Con governo di Vichy, si indica comunemente lo Stato che governò la parte meridionale della Francia dopo l'invasione tedesca nella seconda guerra mondiale (1940-1944), con l'eccezione della zona di Mentone(occupata dall'Italia) e della costa atlantica, governata dalle autorità tedesche.
Nel corso della seconda guerra mondiale mantenne la sua neutralità militare, ma non politica, vista la dipendenza dai nazisti. Il nome di Stato francese era contrapposto a quello di Repubblica Francese, ovvero la Terza Repubblica estintasi con l'armistizio del 1940. Ufficialmente indipendente, in realtà era uno Stato satellite del Terzo Reich. Il nome ufficiale dello Stato è ormai decaduto dall'uso comune e nel dopoguerra si è diffusa la definizione regime di Vichy o Francia di Vichy.)
“A questo proposito ad un certo punto un delatore francese si è presentato ai comandi italiani e ha detto: se mi date una moto militare Guzzi vi dico dove sono nascosti i carri armati; non gli hanno dato la moto ma una piccola somma e questo ha detto dove erano . Mio nonno è andato con un autista e qualche uomo in queste cave di Les Baux de Provence in Provenza e seguendo le indicazioni hanno trovato le tracce dei cingoli e nel nascondiglio, dove era tutto murato, hanno trovato una decina di carri armati pesanti francesi Renault B1 che sono stati sequestrati e portati in Italia in treno .
(moto Guzzi Alce)
(Carro B1 bis al Museo dei Blindati di Samur)
Poi ricordo altri episodi: ad esempio, cercavano di imbarcare truppe verso le colonie, le truppe potevano imbarcarsi ma non le armi pesanti.
Dopo un anno di questa vita non paragonabile al fronte , si annoiava e quindi ha fatto domanda per andare al fronte russo e questo era nel dicembre 1941.”
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
Campagna militare di Russia 1941 - 1942
“Nel 1941 mio nonno ha quindi fatto domanda per andare al fronte russo. La campagna era cominciata nel giugno; c’era stata una rapida avanzata, poi nell’inverno si era impantanata e fermata.
Lui è arrivato nel Donbass, tristemente attuale oggi nel conflitto russo-ucraino, come ufficiale della Divisione di Fanteria “Pasubio”.
Tanti nomi delle località erano a quell’epoca diversi da quelli odierni: Doniezk si chiamava Stalino, Luhans'k era Voroshilovgrad , Kharkiv era Char’kov; nomi russi, adesso invece nomi ucraini.
E quindi è arrivato in un momento di stasi invernale, che non voleva dire che non ci fossero combattimenti o movimenti. Tutte le notti l’aviazione sovietica bombardava con scarsa precisione facendo più vittime tra la popolazione che tra le forze occupanti e poi c’erano continui attacchi notturni di pattuglioni di cento o duecento uomini.
Spesso e volentieri c’erano dei disertori , soldati che erano di varie nazionalità dell’unione sovietica: c’erano dei georgiani, dei caucasici, degli armeni esattamente come adesso.
Non avevano alcuna motivazione, non erano stalinisti, volevano salvare la pelle e preferivano arrendersi agli italiani che combattere. Quindi c’è sempre stato un viavai di attacchi e disertori : quando erano russi venivano interrogati sul posto se no bisognava mandarli nelle retrovie quando erano di lingue più rare.
Quindi nell’inverno ’41-‘42 erano praticamente fermi. Poi in primavera c’è stata l’avanzata fino al Don nel 1942.
Lui era comandante della fanteria divisionale della Pasubio.
(Comandante Olmi)
Voleva dire che c’era il comandante della Divisione che si chiamava Giovannelli che se ne stava tranquillo nelle retrovie, poi c’era mio nonno che era il comandante della fanteria operante sul campo. C’era anche il reggimento di artiglieria. Sarebbero state delle divisioni semi trasportate ma erano mal equipaggiate.
Sono quindi arrivati selle rive del Don e malgrado l’equipaggiamento scarso rispetto ai tedeschi, mio nonno ci teneva moltissimo che i suoi soldati avessero tutto l’equipaggiamento necessario: era molto rompiscatole per le continue richieste ai comandi superiori.
Per questo i suoi soldati avevano tutte le armi e munizioni e vari mezzi, poi usavano anche le slitte tirate da cavalli per muoversi sulla neve . Quindi lui si occupava molto dei suoi soldati. Non dovevano stare all’addiaccio e dovevano avere il meglio possibile dell’equipaggiamento.
(fiume Don)
Poi nel settembre del ’42 questo generale Giovannelli è andato in pensione ed è stato mio nonno comandante a tutti gli effetti per tre mesi.
I soldati della Pasubio erano nel loro settore caratterizzato da un’ansa a forma di berretto frigio. Più a sud c’era la Celere . I russi attaccavano spesso con questi pattuglioni, attraversavano il Don o gelato ma anche con delle barche . Si susseguivano questi attacchi notturni che a volte riuscivano a prendere delle posizioni ma complessivamente nel settore della Pasubio comandata da mio nonno gli italiani non hanno mai arretrato , non hanno mai perso nulla.
Mio nonno instancabilmente andava di posizione in posizione; aveva fatto la scuola di guerra ed era esperto di fortificazioni e quindi tutti i capisaldi erano correttamente preparati con postazioni di mitragliatrici con muretti di sacchi. Litigava con i tedeschi: aveva, infatti, un ruolo di collegamento con loro e parlava correntemente il tedesco.
I tedeschi non erano d’accordo su come lui organizzava le truppe: lui aveva dei capisaldi ogni chilometro o due sulle posizioni dominanti che dovevano coprire la difesa di tutta la linea. I tedeschi invece sostenevano che ci dovevano essere pochi uomini ma vicini su tutta la linea. Per mio nonno questi erano dei consigli, mentre invece nei documenti i tedeschi dicevano che gli italiani non volevano ubbidire alle loro istruzioni, loro pretendevano di dire come si doveva fare. Comunque nel suo settore i russi non hanno mai sfondato.
Nel dicembre ’42, scaduto il suo anno, lui non ha fatto domanda per prolungare anche perché era si d’accordo con il generale Messe ma non andava d’accordo con altri generali come Gariboldi credo..
(Gen. Giovanni Messe)
(Gen. Italo Gariboldi)
E’ rientrato in Italia e per sua fortuna non fu coinvolto nella tragica ritirata di Russia.
E’ stato decorato con medaglia d’argento, penso meritata perché appunto ha tenuto duro nel suo settore, ha trattato bene i suoi soldati e quando chiedevano licenze per motivi validi famigliari lui le ha sempre date e mai nessuno ha disertato.
Fu insignito di medaglia d'argento "sul campo" con la seguente motivazione:
"Comandante di un raggruppamento tattico, lo guidava con perizia e valore, distinguendosi per decisione ed audace azione di comando. In una situazione particolarmente critica si dimostrava dominatore di ogni difficoltà e suscitatore di energie, riuscendo a sbaragliare un nemico agguerrito e feroce e ristabilendo la situazione molto compromessa".
Fiume Don (fronte russo) 17 agosto 1942 - 12 settembre 1942
Poi, sul suolo di Russia, c’è stata la tragica ritirata degli alpini con Nikolajevka.
Ho riletto il diario di mio nonno alla luce degli avvenimenti attuali della guerra in Ucraina negli stessi posti e ho rilevato che alcune cose dell’esercito attuale russo sono di eredità sovietica:
disprezzo totale per la vita dei soldati, buttare le reti fregandosene delle perdite e poi la logistica malfatta.
Tante cose risalgono ai tempi della 2^ guerra mondiale. E poi la multi nazionalità: mandare i siberiani o i caucasici e non i russi .
I rapporti con la popolazione erano buoni: facevamo la messa e venivano gli abitanti del villaggio per partecipare , vendevano uova, qualche gallina . Anzi hanno anche regalato a mio nonno un’icona.
Anche i tedeschi erano per gli ucraini dei liberatori. Tutti sanno che nel 32-33 c’era stata la carestia provocata da Stalin perché gli ucraini rifiutavano la collettivizzazione nell’agricoltura e poi l’ Ucraina a quei tempi aveva varie minoranze che sono state deportate .
Ci sono ancora nomi tedeschi di località in Ucraina .
(Cosacchi del Don)
Quando sono arrivati sul Don si sono trovati in una zona di cosacchi; questi si erano opposti anche loro a Stalin negli anni trenta. La riva occidentale del Don era piena di villaggi cosacchi bruciati negli anni trenta. Questi cosacchi non facevano nessun atto ostile , non c’era guerriglia o resistenza come in altri posti . Erano cristiani e anzi speravano che tedeschi e italiani vincessero.
(Isba dei cosacchi del Don)
Nel Diario che mio nonno ha scritto e illustrato con maestria si leggono diversi episodi singolari.
(icona donata dai cosacchi al comandante Olmi)
(Diario scritto e illustrato dal gen. Olmi)
(Giovani danzatrici a Leopoli)
(Isba, sede del comando di divisione)
(Piantina del settore della Pasubio)
(Ritrovo Ufficiali )
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
In Italia, nei momenti travagliati della caduta del regime fascista.
“Era il gennaio del 1943 e mio nonno diventò il comandante della divisione di fanteria “Legnano” che assicurava la difesa costiera della Provenza.
Era una specie di vacanza in confronto alla campagna militare di Russia.
Non poteva dimenticare le asprezze del fronte russo: lui segnava le temperature, ad esempio -38. Descriveva poi i bombardamenti con gli effetti che questi causavano: vetri sempre rotti…macerie..morti…freddo.
Parlando dei tedeschi diceva che si tenevano i settori dove c’erano città così avevano alloggio per le loro truppe e mandavano gli italiani dove non c’era nulla così che questi dovevano scavare delle buche o trovare qualche isba.
(Generale Roberto Olmi)
Quindi la Provenza era quasi una vacanza. Lo scopo era quello di prevenire un eventuale sbarco che poi accadrà più tardi .
Nel Luglio del ’43 risulta da lettere che ho letto e dai suoi scritti che la divisione Legnano era stata in Albania prima, poi l’avevano rimandata in Italia ed era stata messa in quella zona abbastanza tranquilla. Gli umori dei soldati erano bassi, c’era del disfattismo .
Mio nonno era molto attento, curava la disciplina, come in Russia dove curava i soldati. Era quindi una divisione ben equipaggiata con l’equipaggiamento al completo ; non ci sono stati episodi di diserzione come in altre unità simili dove la gente cominciava ad andarsene .
Nel luglio ’43 la divisione ha l’ordine di trasferirsi nel sud Italia .
(Un motociclista della divisione Legnano)
Nel settembre ci fu l’armistizio.“
8 settembre 1943 e dintorni: La guerra dopo l’armistizio.
Jole Di Benigno nel suo libro “Occasioni mancate: Roma in un diario segreto 1943 – 1944” racconta i momenti di sbandamento e di sconcerto seguiti alla dichiarazione di armistizio.
(Jole Di Benigno)
(Nella Biblioteca Ariostea di Ferrara)
La sera del 7 settembre arrivò d’improvviso a casa (a Roma) Roberto. La sua Divisione aveva ricevuto l’ordine di spostarsi da Bologna a Brindisi e già uno dei suoi reggimenti di fanteria e un gruppo d’artiglieria doveva aver raggiunto la nuova destinazione; il rimanente della Divisione era in moto: l’ultimo reparto doveva staccarsi da Bologna la sera dell’8 settembre, e così in effetti avvenne. “Io ho fatto questa deviazione” mi disse Roberto, “per cercare di ottenere da Roma un cambiamento di zona”. “Non vuoi andare a Brindisi?”. “Non mi pare il momento più adatto per andarsi a cacciare nel tacco dello stivale”. “E dove vorresti portare la Divisione?”. “In direzione di Potenza; conosco bene l’Appennino lucano; ho fatto le manovre sui gruppi del Serino nel 1930; la Legnano è una delle poche divisioni in piena efficienza in questo momento; ho un gruppo di ufficiali uno meglio dell’altro, sono riuscito a farmene cambiare 14 in questi sei mesi…”
La mattina dell’8 settembre egli andò al ministero a perorare la sua causa; tornò a casa al tocco, visibilmente euforico per aver ottenuto buone speranze per il cambiamento: “Sorice (ministro della guerra)è entrato subito nel mio ordine di idee e mi ha detto che lo otterrà lui stesso da Roatta(capo di stato maggiore), che va bene, che andando a presentarmi a Lerici che comanda il corpo d’armata di Bari, gli faccia sapere che sarò autorizzato a portare la Legano verso l’Appennino”. “Quando riparti?”. “Domani all’alba”.
Ma le cose dovevano andare diversamente. Tornando a casa verso le 19,30, dopo essere andata fuori per Rosandra(la cavalla infortunata), trovai Roberto già intento a preparare il bagaglio. Alzò la testa e mi fissò con gli occhi smisuratamente allargati: Partiamo subito – disse. Devo raggiungere subito i miei reparti in Abruzzo. Riunirli al più presto. Apri pure la radio: poco fa il generale americano ha annunciato l’armistizio con l’Italia e tra poco parlerà anche Badoglio.
Non sei contento? Non so. Vorrei essere ancora a Bologna: la Legnano era in grado di battersi bene, ma ora, come ci troviamo, sparsi qua e là, è un danno. Bisogna rimediare subito.
-Ma il grosso della Divisione dov’è?
-In movimento verso sud; si tratta ora di mandare a sud il rimanente dei reparti- Perciò parto immediatamente. Per noi c’è rimedio, ma Bologna è indifesa: la “Celere” , che è sul posto, non è in condizioni di poter far fronte ai tedeschi.
Nella notte del 9 settembre succedevano frattanto, ad insaputa di tutti, cose straordinarie.
Quando la famiglia reale e Badoglio si erano trasferiti, per misura precauzionale, al ministero della guerra, nulla era stato ancora deciso circa il da farsi, anche perché rimaneva, per il momento, oscuro il contegno che si proponevano di assumere i tedeschi. Alla sede della loro ambasciata l’agitazione era immensa, va e vieni, ordini e contrordini, carte bruciate, partenza precipitosa dello stesso von Rahn che, arrivato a Siena, dovette poi tornare indietro per un ordine di Berlino.
Ma dopo la mezzanotte, qualche cosa di sicuro si fece udire e furono i colpi di cannone che si andavano sempre più avvicinando. Nella segreteria del capo di gabinetto, ove s’era installato il duca Mario Badoglio, giungevano, man mano che la notte avanzava, notizie più concrete: si seppe così che anche le due divisioni tedesche stanziate a Viterbo ed a Siena s’erano mosse e marciavano in direzione di Roma.
Alle sei in punto del giorno 9 mi svegliò ancora il numero militare: era il ministro in persona.
-Qui i miei ospiti sono andati via tutti- disse.
Una mia esclamazione di incredulità lo interruppe.
-E’ proprio così: ho qui l’elenco di quelli che devono seguire il capo del governo.
-Voi rimanete con noi, naturalmente.
-Vi chiamerò fra dieci minuti.
-E a Roma chi rimane?
Continuai a ripetermi questa domanda, perdutamente, in preda ad una commozione che anche a distanza di tempo non mi pare eccessiva.
L’11 settembre, nel suo discorso radiofonico, Hitler dichiarò di aver circondato Roma per un raggio di 50 chilometri assicurando i punti strategici: questa era la realtà della situazione.
10 Settembre 1943 - I tedeschi occupano Roma
Quello stesso giorno mi telefonò da Chieti il colonnello Tuti della “Legnano”; mi disse che Roberto stava bene, che quasi tutta la divisione era passata sana e salva a sud, eccetto un reparto che, dopo uno scontro a San Severo, tornò indietro con vari feriti ed alcuni muli colpiti a morte, distribuiti poi alla popolazione.
Dovevo in seguito, dopo qualche mese piuttosto turbinoso, venire a conoscenza di quanto era avvenuto in quel di Chieti il 9 settembre.
Giungendo quella mattina , Roberto ed i suoi si erano accorti di una insolita animazione nelle vie della città. Pochi minuti dopo arrivava di corsa un ufficiale a chiamare Roberto da parte di Roatta. Questi chiese come mai si trovasse a Chieti(tuttavia l’ordine di spostamento della divisione era stato emanato dallo stato maggiore) e quando seppe che vi si trovava solamente di transito, osservò: No rimani qui ed organizza la difesa di Chieti con quei mezzi che potrai racimolare sul posto. Non potete più proseguire; nella zona di San Severo si sono concentrati 4000 tedeschi e la loro aviazione è molto attiva. Tieni fermo qui finchè non saremo arrivati noi di ritorno.
Altro particolare curioso è questo, che mentre Roatta intratteneva il comandante della Legano , giungevano le segnalazioni ed i fonogrammi circa la situazione: Genova occupata, Trieste occupata…Qualcuno a fianco di Roatta, nel trasmettere, intendeva che fossero degli anglo-americani!
(Mario Roatta con l'uniforme da Generale di Corpo d'Armata)
Comunque, se l’ordine di fermarsi a Chieti garantiva provvisoriamente la sicurezza di quei paraggi, separava però la divisione Legnano dal suo comandante. Al contrario di alcuni altri, indotti dagli eventi a distaccarsi dai propri reparti in preda al disorientamento, egli ebbe però la ventura di aver messo tutti i suoi a posto, prima di accingersi ad affrontare l’oscura lotta dell’individuo isolato contro l’agguato ed il pericolo collettivo.
Lotta dalla quale uscì, grazie a Dio, vincitore.
La Val Trebbia produce ancora di questi soldati vecchio stampo.
L’arresto :13 settembre aeroporto di Pescara
Dalla relazione del gen. Olmi al Comando militare territoriale del 7 novembre 1952.
Quando fui catturato dai Tedeschi all’aeroporto di Pescara, la mattina del 13 settembre 1943, era presente all’episodio materiale della cattura ,(fatta con mitra puntato al petto da un militare tedesco che partecipava col suo reparto d’assalto all’attacco dell’aeroporto con cannoncini anticarro e mitragliatrici, incendiando e distruggendo aerei e baraccamenti), un tenente degli alpini che faceva parte del quartier generale della Divisione da me comandata(LEGNANO). L’ufficiale riuscì a svignarsela subito e dovette riferire della mia cattura al sottocapo di S.M. che era rimasto a Chieti, nella sede in cui S.E. Roatta, nell’ordinarmi di non proseguire il viaggio verso Brindisi, aveva ordinato che si stabilisse il mio comando. Il capo di S.M.(stato maggiore) titolare era il ten. col. di S.M. Armando Tuzi. Il Tuzi era stato da me salutato all’aeroporto di dove gli avevo ordinato di partire con una mia relazione all’autorità superiore in Puglia e con un cifrario provvisorio atto a rimediare all’avvenuta distruzione dei cifrari da parte dell’alto comando profugo. L’importanza della relazione era tale che il bravo ten.col. Tuzi non esitò ad eseguire l’ordine neanche nel momento drammatico del decollo dell’aereo, sotto il tiro dei cannoncini e delle mitragliatrici.
(aereo Savoia-Marchetti della Regia Aeronautica)
L’aereo per tale missione mi era stato concesso da S.A.R.(sua altezza reale) la compianta Principessa Mafalda, giunta il 9 settembre all’aeroporto di Pescara proveniente da Sofia, dove aveva partecipato ai funerali del cognato re Boris di Bulgaria. Proprio nel momento in cui l’aereo si accingeva a decollare, venne sferrato l’improvviso attacco tedesco proveniente da ovest.
Cornice storica
La principessa Mafalda di Savoia soggiornò a Chieti per otto giorni dopo l’11 settembre di ritorno da Sofia dove aveva presenziato ai funerali del cognato. Le fu sconsigliato di muoversi da Chieti anche dal padre, il re Vittorio Emanuele III; ma con mezzi di fortuna, il 22 settembre 1943 riuscì a raggiungere Roma e fece appena in tempo a rivedere i figli, custoditi in Vaticano da monsignor Montini (il futuro papa Paolo VI), escluso il maggiore, Maurizio, che era già in Germania, come il padre.
(Mafalda di Savoia con 3 dei quattro figli)
(Re Vittorio Emanuele III)
Il 23 mattina, all'improvviso, venne chiamata al comando tedesco con tutta calma, per l'arrivo di una telefonata del marito da Kassel in Germania. Si trattò invece di un tranello: in realtà il marito era già nel campo di concentramento di Flossenbürg.
Mafalda venne subito arrestata per ordine di Kappler e imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu trasferita poi a Berlino e infine deportata nel lager di Buchenwald, dove venne rinchiusa nella baracca n. 15 sotto il falso nome di von Weber.
In seguito ad un bombardamento degli alleati, rimase gravemente ferita ad un braccio: si doveva intervenire per evitare la cancrena.
L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo, seppur con procedura in sé impeccabile, per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald ed eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.
La principessa Mafalda morì dissanguata nella notte del 28 agosto 1944.)
(Mafalda di Savoia)
(modello del campo di concentramento d Buchenvald)
Mafalda di Savoia - La Storia
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
Prigionia ed evasione dall’internamento.
Scrive il generale Olmi nella sua relazione:
Condotto a Bologna, fui internato all’albergo Baglioni, dove trovai altri ufficiali prigionieri. Durante tale internamento con tanto di sentinelle armate nel corridoio, dal quale ci era vietato uscire, ricevetti la visita di un magistrato conoscente il quale aveva appreso la mia cattura ed aveva ottenuto il permesso di venirmi a visitare. Trattasi del Consigliere di Corte d’Appello comm. Peveri, tuttora magistrato a Bologna.
Prosegue Jole Di Benigno:
In quella occasione (aeroporto di Pescara) Roberto, venne fatto prigioniero assieme a nostro figlio il cui corso di allievi ufficiali che faceva il campo in quel di Pescara si era sciolto per l’armistizio.
Io seppi la notizia il 17 settembre. Credetti di averli perduti tutti e due. Prima cosa preparai una valigia con indumenti di lana, i più pesanti che avevo, in previsione dell’inverno in Germania; macchinetta a spirito e tutto quanto poteva essere consentito alla vita di un campo di concentramento. Quella stessa sera del 17, inaspettatamente, mi fu restituito il ragazzo forse a causa della sua giovane età.
Mi disse che suo padre si trovava all’albergo Baglioni di Bologna con altri prigionieri; se non fossi accorsa subito, rischiava di essere deportato in Germania con la sola camicia che indossava. I tedeschi avevano bloccato i negozi, incominciando dall’unione militare di Bologna.
(Hotel Baglioni – Bologna anni 30)
Raccolsi tutto il denaro che avevo e lo unii ad un abito borghese; questo per una seconda soluzione. Partendo per Bologna mi pareva che nel petto trovassero posto tutte le amarezze e non un filo di speranza. Invece no; il subcosciente vigila e guida le nostre azioni indipendentemente dalla volontà razionale.
Arrivai a Bologna all’alba del 19; stazione deserta, non un facchino naturalmente; mi trovai nel semibuio, una valigia per mano, sulla piattaforma di un tram che dalla stazione porta in via Indipendenza. Tedeschi armati alla porta del Baglioni trasformato in sede germanica: tedesco di guardia, armato, sprofondato in una poltrona della hall; sentinelle armate su e giù per i corridoi, dinnanzi alla porta di ogni stanza. Tutti gli ufficiali della nostra Divisione Celere, ed altri, si trovavano in quel momento lì. Non posso dire che Roberto fosse disperato; il male della Patria era così grande, che la sorte individuale non importava più. Nei due giorni nei quali condivisi la sua prigionia, gli uscì dalle labbra una sola frase, il cui ricordo doveva ritornarmi torturante lungo il viaggio di ritorno: “Finire così la mia carriera a quest’età…”.
Poi doveva avvenire questo che la funesta imprecisione degli aerei americani verso la fine di settembre sul centro di Bologna e via Indipendenza finisse per rappresentare la sua ancora di salvezza; durante il secondo di quei bombardamenti, egli trovò modo di eludere la sorveglianza.
(Ufficiale tedesco)
Dopo ventiquattro giorni di prigionia, con indosso l’abito borghese che gli avevo portato, lasciò il Baglioni, andò direttamente a rifugiarsi alla Ghisiola sul colle di San Luca e da lì, dopo un breve sopraluogo sulle rive della natia Trebbia e sistemazione di alcuni interessi che lo svincolavano dal bisogno materiale, capitò a Roma inaspettatamente.
Scrive il generale Olmi nella relazione:
Circa l’essermi sottratto all’internamento e l’essermi dato alla macchia, tanto da provocare ricerche da parte della polizia nazifascista, riferisco: La mia conoscenza della lingua tedesca e il fatto di portare all’occhiello dell’uniforme il nastrino della “croce di ferro” , mi aveva consentito di ottenere qualche confidenza da un ufficiale viennese e così seppi da quell’ufficiale che il comando del Corpo d’Armata SS, che aveva sede a Reggio Emilia, aveva ordinato di sospendere la mia partenza dal concentramento provvisorio di Bologna, perché dovevo essere interrogato in merito al comportamento di reparti della Legnano che a San Severo delle Puglie aveva sparato contro i Tedeschi che si opponevano al loro proseguimento verso Brindisi. Fui anche tradotto, verso il 25 o 26 settembre, a Reggio Emilia e messo sotto una tenda in attesa dell’interrogatorio. Ma l’interrogatorio non ebbe luogo perché quel giorno il generale tedesco non era rientrato.
(militari tedeschi delle SS)
Nei giorni successivi, approfittando della confusione creata dai bombardamenti massicci e dai continui allarmi e dal fatto che il comando SS di Reggio Emilia aveva allargato la sua sfera d’azione fino al Piemonte e alla Lombardia e poco si occupava di Bologna, riuscii – sempre tramite il buon viennese- a ottenere un permesso di recarmi a Bobbio per rifornirmi di denaro e di quanto mi occorreva.
Bologna bombardata
Giunto a Bobbio, vi trovai reparti tedeschi. Al ristorante Barone, dove cenai la sera del 4 ottobre, mi incontrai con l’ufficiale tedesco.
Dato il piccolo paese, questi aveva già saputo della mia presenza e lo stesso maresciallo dei carabinieri di Bobbio si era premurato di venire a casa mia per consigliarmi di svignarmela, perché i Tedeschi sapevano già che ero giunto a Bobbio. Trovatomi a tu per tu con l’ufficiale tedesco, mi rivelai senz’altro e gli chiesi un lasciapassare per recarmi a Roma; motivo del viaggio : Anzughelung = procurarsi vestimenta, con l’obbligo però di essere di ritorno entro sette giorni.
(Lasciapassare del comando tedesco di Bobbio – 1943)
Richiestogli l’indomani di modificare il sette in quattordici e di cancellare la qualifica di “generale” dal documento, per evitare Belastiguengen=molestie, l’ufficiale ancora annuì. Allora lo scrivente che nel frattempo si era procurato al Municipio una carta d’identità quale civile (dall’impiegato comunale Mozzi Giovanni ed essendo podestà e sindaco il commissario Casartelli o Castelli) partì per Roma, subendo bombardamenti aerei alla stazione di Firenze con lunga interruzione del traffico, e successivamente a Orte.
Giunto finalmente a Roma in ora di coprifuoco, con scarsa possibilità di allontanarmi molto dalla stazione Termini, pernottai all’albergo Continental, di dove presi contatto telefonico con i miei famigliari.
L’indomani raggiunsi la mia abitazione, che però mi decisi di abbandonare per sottrarmi a eventuali ricerche. Andai ad abitare un appartamento al 2° piano di via Rubicone 8, sotto lo stesso tetto dove erano ospitati clandestini i generali Traniello e Caratti. Non essendo naturalmente più rientrato a Bobbio, come da ingenua pretesa del giovane ufficiale tedesco, venni ricercato dalla Questura repubblichina di Roma (Commissariato Prati-Uffici di via Marcantonio Colonna) in seguito a segnalazione della polizia repubblichina di Bobbio.
Sistematomi alla meglio nella nuova abitazione, avendo appreso che il ministro della guerra, S.E. il generale Sorice non era partito per il Sud ed era a Roma, ospite di casa Colonna, piazza Aracoeli 1, di dove stava prendendo i primi contatti con ufficiali che non avevano aderito alla Repubblica Sociale, con la collaborazione del compianto colonnello di Montezemolo, andai a presentarmi a lui, mettendomi a sua disposizione per l’azione di resistenza ch’egli andava organizzando.
(Antonio Sorice – ministro della guerra)
Ricordo ancora l’angoscia della Principessa Colonna, il cui figlio sottotenente Francesco, che aveva fatto tutta la guerra in Balcania subalterno in una batteria alpina e in Russia quale ufficiale a disposizione dello scrivente, era partito col colonnello Tuzi da Pescara con l’aereo della Principessa Mafalda, nelle tragiche circostanze, e nessuna notizia di lui le era più giunta.
(Principessa Isabelle Colonna)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia del Novecento.
(..continua Gen. Olmi)
La Resistenza Romana
Nella Resistenza a Roma
“Nella casa con mio nonna c’era il ministro della guerra Sorice che era l’unico del governo Badoglio che era rimasto a Roma, però nascosto, e poi c’erano tanti ufficiali: vari furono fucilati alle Fosse Ardeatine e lui è stato un po’ lì sotto falsa identità mandando informazioni di intelligece a sud .
Era la cosiddetta “armata segreta”, una forma di resistenza monarchica verso l’occupante tedesco.”
Jole di Benigno scrive:
Contemporaneamente all’opera del ministro della guerra, durante i primi tempi parallela, ed in seguito, sotto vari aspetti, in netto antagonismo con questa, sorgeva l’iniziativa di quello che doveva in seguito chiamarsi il centro X.
Due uomini (ten. Col. Ugo Corrado Musco e maggiore Felice Santini, ambedue di aviazione) ai quali dovevano aggiungersi altri tre (ten. Frusciante, maresciallo Baldanza, serg. Magg. Patrucco) ed una radio trasmittente: ecco il centro X intorno al quale dovevano roteare per nove mesi le principali attività della Resistenza romana. La città colpita , militarmente occupata ed assediata, poteva finalmente fare udire la sua voce!
Rimane accertato in modo incontrovertibile che, partendo da Roma, il maresciallo Badoglio(capo del governo) non ha lasciato alcuna disposizione, pur avendo appreso prima della sua partenza che il senatore Ricci, ministro dell’interno, all’invito che gli era stato fatto a nome del maresciallo di assumere l’interim durante l’assenza del governo, aveva risposto rifiutando e dando le dimissioni.
(Maresciallo Pietro Badoglio 1943)
Il concetto accettato pareva essere questo: uscire dallo schieramento delle opposte truppe per garantirsi la libertà.
Gli umili del centro X; coloro che disubbidivano alle leggi per l’esistenza… Pascoli afferma che l’uomo è uomo appunto per questa sua qualità di disubbidire alle leggi per l’esistenza.
Nessuno è mai riuscito a decrittare i loro messaggi. Essi trasmettevano su onde corte. La chiave cambiava ad ogni testo di messaggio. Fissata l’ora esatta, una delle radio incominciava a trasmettere per esempio su 37.5; dopo trenta secondi si ferma, e l’altro apparato continua , mettiamo su 40.20, mentre i primi restano in ascolto. Se l’apparecchio ricevente Sud non da il segnale di “ricevuto” la stazione che sta in ascolto, riprende lanciando di nuovo il gruppo cifrato già trasmesso sulla propria lunghezza d’onda, fino al segnale del “Ricevuto”; e così avanti. Esisteva poi anche un apparecchio trucco che trasmetteva solamente allo scopo di farsi radiolocalizzare, nel timore dei servizi di radio spionaggio, che potevano essere disposti ovunque.
Dopo la sua nomina effettiva a rappresentante dello stato maggiore di Roma, il colonnello Giuseppe di Montezemolo avvertì in pieno la responsabilità della carica e tentò di prendere tra le mani tutte le fila delle varie organizzazioni.
(Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, martire alle Fosse Ardeatine)
Il suo prestigio si andava sempre più affermando, e si può oggi dire senza dubbio, che le bande politiche si formarono ed ebbero vita, appunto per questo senso di continuità che la permanenza del ministro della guerra a Roma, e di un degno rappresentante dello stato maggiore al suo fianco, davano con la loro presenza tra i partigiani ; varie organizzazioni politiche chiesero aiuti ed armi; ebbero progressivamente gli uni e le altre nel limite delle possibilità oltre a consigli e notizie; gli uomini di buona fede si intesero e si stimarono, indipendentemente dal colore politico.
(ricetrasmittente in valigetta 1944)
Nota storica
Nei due giorni di guerra aperta per le strade di Roma, dall’8 al 10 settembre e nei successivi 9 mesi di occupazione tedesca a fianco di antichi combattenti per la libertà, di giovanissimi studenti appena emersi dal lungo sonno della propaganda fascista, di operai, di popolane, di soldati si trovarono uomini per i quali il comunismo era stato qualcosa di pauroso e lontano e la patria un valore alto e indiscutibile per il quale si doveva combattere e si poteva morire. Erano ufficiali dell’esercito, della Marina, dei Carabinieri come Frignani, Oddone, Maraffa come il colonnello Cordero di Montezemolo, ucciso alle Ardeatine, come il generale Martelli Castaldi.
Monarchici per tradizione, estranei alla politica, avevano combattuto le guerre fasciste in Africa e in Spagna, spesso riportandone decorazioni e gradi, avevano creduto o voluto credere nella vittoria dell’Asse, avevano vissuto l’armistizio come una dolorosa sconfitta, resa più amara dalla gioia del popolo e dei loro uomini.
(crittografia 2^ guerra mondiale)
(Enigma – macchina per cifrare e decifrare messaggi)
Furono approntate diverse radiotrasmittenti che venivano spostate da un luogo all’altro dentro valigette. Anche il gen. Olmi era attivo in queste operazioni.
Ma non si trovava a suo agio, abituato com’era ai comandi in campo aperto e sui monti.
Jole di Benigno scrive:
Roberto non riusciva a stare in casa mezza giornata completa: un po’ l’insofferenza di viver solo in simili momenti, un po’ per il suo temperamento, un po’ per l’assenza di anni da una grande città( due inverni consecutivi nel fango del Don non glieli toglieva nessuno), certo è che non stava fermo. Ogni tanto incontrava qualcuno che sarebbe stato meglio non incontrare.
“Poi nel ’44 è riuscito a passare nel regno del sud .
Intanto la divisione Legnano che, nonostante tutte queste peripezie, aveva ultimato il suo trasferimento risultava essere una divisione motorizzata ben equipaggiata: è stata il nucleo delle forze italiane cobelligeranti; è stata la prima unità che era efficiente.”
Al comando di una nuova Divisione
“Mio nonno dopo un po’ ha avuto il comando di una nuova divisione: la 209^ divisione Gran Sasso 2^, sempre fanteria. Questa divisione ha combattuto con inglesi e americani sul lato adriatico risalendo la penisola.”
Le Divisioni Costiere
Cornice storica
l 15 settembre 1944 la divisione fu ricostituita come 209ª Divisione ausiliaria in seno al nuovo Esercito Cobelligerante Italiano.
Esercito Cobelligerante Italiano è una denominazione con la quale si identificano quei reparti del Regio Esercito combattenti a fianco delle forze alleate angloamericane durante la seconda guerra mondiale nel corso della guerra di liberazione italiana, che coincise in buona parte con la campagna d'Italia alleata.
Fu costituito in seguito alla riorganizzazione del Regio Esercito nel cosiddetto Regno del Sud, dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943 tra l'Italia e gli Alleati. Il primo nucleo fu il Primo Raggruppamento Motorizzato.
Dal marzo 1944 esso fu inquadrato come Corpo Italiano di Liberazione. Alla fine del 1944, a seguito del parziale sfondamento della Linea Gotica da parte degli alleati, fu riorganizzato in diciassette grandi unità (sei gruppi di combattimento di grandezza divisionale, otto divisioni ausiliarie e tre divisioni di sicurezza interna).
Come le unità analoghe, la 209^ divisione fu utilizzata per compiti di vigilanza e di lavoro a favore degli Alleati, in particolare al seguito degli inglesi dell'Ottava armata britannica.
La divisione seguì lo spostamento del fronte verso nord. Nel gennaio 1944 il comando era dislocato in provincia di Chieti, con i reparti sparsi tra Puglia ed Abruzzo. Tra la fine dello stesso anno e l'inizio del 1945 il comando venne trasferito ad Osimo e la divisione assunse la responsabilità territoriale su Abruzzo, Umbria e Marche. La forza salì dai 19.000 uomini di gennaio ai 22.000 in aprile. L'unità venne infine sciolta a maggio alla fine delle ostilità in Europa.
Nel settembre 1944 , il comando della Divisione fu affidato al Generale Roberto Olmi.
(logo della 209^ Divisione Costiera)
(Militi della 209^ Divisione Costiera Gran Sasso 1943)
Dalla penna del cronista
13 settembre 1968
Il Generale degli Alpini Roberto Olmi è “andato avanti” il 13 settembre 1968.
Da alcuni giorni egli sembrava più sofferente del solito e più stanco. Chiese insistentemente di rientrare a Roma quando ancora le sue vacanze bobbiesi non si potevano dire concluse. Nel viaggio verso Roma, presso Arezzo i due coniugi stavano riposando, ma improvvisamente si aggravò il malore del generale che si accasciò e morì appena entrato nell’ospedale civile di Orvieto.
Ad Orvieto si sono svolte le esequie solenni con onori militari quali si addicono ad un ufficiale di grado così elevato. E’ stato lo stesso comando di zona militare che ha chiesto a quello di Bologna-Firenze il privilegio di onorare in tal modo il generale Olmi poiché , per singolare coincidenza, egli è morto nella sede dell’80° reggimento, una delle unità comprese nella Divisione Pasubio che appunto combattè sul fronte russo in prossimità di Stalingrado, sotto il comando dell’allora generale di divisione bobbiese.
La salma è stata poi portata a Bobbio dove si sono svolti i funerali religiosi ed è stata tumulata nel cimitero di Cognolo.
(Cappello alpino del Generale Olmi)
Fonti narrative e iconografiche:
- Roberto Olmi (nipote del generale)
- Generale R. Olmi
- Luca Girotto (storico della grande guerra)
- Jole Di Benigno (scrittrice e saggista moglie del generale)
Nel 150° di fondazione del Corpo, le penne nere di Bobbio fanno memoria di nobili figure di Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(A cura del Gruppo Alpini di Bobbio nella penna dell’alpino Felice Mielati)
“Rovistando in soffitta fra tante cose impolverate dal tempo, ho trovato questa cassetta ben chiusa; l’ho
aperta come faccio ora e ho scoperto con mia grande meraviglia una stamperia a caratteri mobili : Fantastico!”
(Stampa a caratteri mobili di piombo)
Più o meno così , il compianto maestro Ugo Bellocchio ci introduceva in quella che era un’innovazione didattica: la stampa in classe.
Già, in quella classe al pianoterra in San Colombano che ci sembrava grandissima, l’attenzione di noi alunni si era concentrata su quella cassetta dai contorni magici.
(Scuola elementare in piazza San Colombano)
Storia nostra, bella e indimenticabile, di scuola di paese.
Ma c’è un’altra cassetta o meglio due cassette lasciate in eredità alla comunità di Bobbio dal Generale degli Alpini Giuseppe Bellocchio che vale la pena di aprire per veder proiettata la nostra cittadina nella Grande Storia del Novecento.
Si tratta di cassette d’ordinanza militare. Apparentemente nulla di attraente.
Addentrandosi nel contenuto, però, emergono effetti personali e documenti di indubbio valore storico-culturale.
Nel cassetto superiore della cassa grande c’è il passaporto emesso il 14 giugno 1928 per l’Albania ed esteso successivamente per altri paesi europei(Vi è segnato l'ingresso in Albania il 16.6.1928 e poi ancora nel 1929, 1930, 1931; nel 1930 è segnato un ingresso in Cecoslovacchia).
Ecco la prima finestra sulla Grande Storia:
fra il 1928 e 1931, il generale fu inviato in Albania a svolgere il compito di addestratore delle truppe del re Ahmed Zogu, appena arrivato al potere con il sostegno dell’Italia.
(Ahmed Zogu - re di Albania)
Successivamente, nell’aprile 1939, Mussolini mandò invece un corpo di spedizione italiano - 22.000 uomini con artiglierie e carri armati, due corazzate, 7 incrociatori e decine di altre navi, 7 stormi di aerei, un reggimento di paracadutisti - ad occupare quel povero paese dell’Albania, costringendo il re Zogu a rifugiatosi in Grecia.
Quell’occupazione italiana dell’Albania, che precedette di 4 mesi l’invasione tedesca della Polonia, può essere considerata il prologo della 2^ guerra mondiale, la guerra che portò alla morte 50 milioni di uomini e produsse immani distruzioni.
Ma facciamo un passo indietro.
Da Bobbio alla carriera nell’esercito Italiano.
Il futuro generale era nato a Bobbio il 15 febbraio 1889.
(Famiglia del gen. Bellocchio – Giuseppe è a destra in piedi)
(Le foto sono nella cassetta d’ordinanza piccola)
Il padre Domenico svolgeva in questo comune un’attività commerciale, ed oltre alla casa di abitazione nell’attuale Contrada di Porta Nuova al n. 6, vi possedeva dei poderi agricoli dati in gestione a mezzadria. La madre, Costanza Bionda, proveniva invece da Ponte dell’Olio. Giuseppe ebbe un fratello e due sorelle. La sorella maggiore sposò nel 1906 un maggiore del genio, Ellenio Setti. Fu probabilmente per influenza di questo cognato che Giuseppe fu avviato nel 1910 alla carriera militare, seguito poi anche dal più giovane fratello Carlo che divenne ufficiale medico nella Marina militare. La sorella più giovane, Ida, a sua volta si maritò nel 1913 con un bobbiese emigrato negli Stati Uniti, Arturo Malugani, e andò a vivere a New York.
(Foto delle sorelle)
Giuseppe, dopo gli studi medi superiori, affrontò la vita militare nel Corpo degli Alpini.
Ecco la seconda finestra sulla Grande Storia:
Partecipò alla 1^ Guerra mondiale, vi raggiunse il grado di maggiore e dopo essere stato al comando di alcuni battaglioni alpini fu posto al comando dell’Ufficio operazioni della 7^ Divisione cecoslovacca, un corpo costituito da ex-militari dell’Impero austro-ungarico fatti prigionieri ma disponibili a combattere a fianco degli italiani per conseguire l’indipendenza del proprio paese da tale impero.
Per i successi conseguiti dai reparti al suo comando Bellocchio fu decorato con una medaglia d’argento sui roccioni della Lora del Pasubio :
“Comandante interinale del battaglione, sprezzante del pericolo e costante esempio di serenità ed intrepidezza pei suoi soldati, nonostante fosse fatto segno a violentissimo fuoco di fucileria e mitragliatrici, guidava brillantemente il reparto all'assalto, riuscendo a penetrare in due successive trincee nemiche. Costretto dalla violenza dei contrattacchi nemici a retrocedere, ed assunto il comando della linea, ripiegava ordinatamente, sotto il violento fuoco avversario, su una posizione retrostante, sulla quale organizzava nuova resistenza.”
(Roccioni di Lora – Pasubio)
ed una di bronzo all’Alpe di Cosmagnon:
“Comandante di un battaglione, dava bella prova di iniziativa, calma, ardimento e prontezza di decisioni.”
(Alpe di Cosmagnon – Pasubio)
Finita la 1^ Guerra mondiale fu ammesso al corso triennale 1920-’22 della Scuola di Guerra di Torino per la formazione degli ufficiali di stato maggiore, destinati alla direzione delle grandi unità, e successivamente fu promosso colonnello.
(Ufficiali)
I Roccioni della Lora - Pasubio - Prima Guerra Mondiale
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
Negli anni venti e trenta Bellocchio fu anche, sempre nell’ambito del Corpo Alpini, Capo di S.M. in reggimenti, comandante di reggimento, e, nominato infine generale di brigata, Capo di S.M. in una Divisione.
(Il generale tra gli ufficiali – Sondrio 1932)
(Il generale a Susa 1937)
(Il generale tra le truppe alpine in qualità di ispettore nel settore Alto Adige)
Sull'altopiano di Asiago le sue gesta sono ricordate con l'intitolazione di una località "I Piani Bellocchio".
Fu comandante del famoso 3° Reggimento Alpini.
(Il cappello alpino del generale Bellocchio)
Dire dell'uomo Bellocchio è facile, ma nel contempo la sua personalità sfugge agli schemi tradizionali. I luoghi comuni vogliono i militari, e a maggior ragione gli ufficiali, uomini duri, inflessibili, abituati solo al comando e ad essere ubbiditi. Se poi a queste caratteristiche vi si aggiunge l'imponenza fisica(e il gen. Bellocchio l'aveva), è quasi impossibile credere che le sue doti fossero la bontà, l'amore per il suo prossimo, l'umiltà.
Sopra ogni cosa amava i suoi alpini.
La nostra è stata una terra che ha prodotto alpini, e il generale amava i suoi conterranei e là dove era possibile evitava che andassero in zone di guerra ad alto rischio.
Il generale Orsini, anche lui generale degli Alpini, legatissimo a Bobbio, ha definito il generale Bellocchio "un truppeur", uomo della truppa.
(Gen. Bellocchio 3° da sinistra in piedi)
Gen. Bellocchio
La sua città gli ha intitolato una via, chi l'ha conosciuto deve ricordarlo.
In occasione della 65^ Festa Granda, l'Amministrazione Comunale e i Gruppi Alpini di Bobbio e Mezzano Scotti hanno posto davanti alla Sezione Alpini di Bobbio una lapide commemorativa in ricordo del Gen. Giuseppe Bellocchio medaglia d'argento e medaglia di bronzo al valor militare.
Allo scoppio della 2^ guerra mondiale, già abbastanza anziano, non fu inviato su un fronte di guerra ma svolse incarichi speciali in Italia e da ultimo, nominato generale di divisione nel 1941, ebbe l’incarico di comandante della Zona militare di Alessandria.
(Il generale nel periodo precedente l’8 settembre 1943)
Nella cassetta grande c’è una busta vuota con su scritto: Relazione e Piano insurrezionale della città di Milano.
Ecco la terza interessante finestra sulla Grande Storia:
Alla direzione militare del movimento partigiano a Milano
Romano Repetti dell’ANPI racconta, nella sua relazione fatta in occasione della Festa Granda del 2016 sul generale Bellocchio che lui e Giorgio Bertuzzi del Comune di Bobbio, d’accordo con gli amministratori comunali ai quali erano state affidate le due casse dalla famiglia Londei, erano andati al Museo del Risorgimento di Milano a fare una copia elettronica dei due documenti originali che vi aveva depositato Italo Londei:
il Piano per l’insurrezione partigiana di Milano predisposto da un gruppo militare presieduto da Bellocchio
ed una relazione dello stesso sulla propria attività partigiana dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla Liberazione.
Egli poi era andato alla ricerca di ogni altra possibile documentazione sulla vita e sulla attività di Giuseppe Bellocchio in pubblicazioni piacentine e nazionali, riscontrando che Italo Londei, oltre a depositarne i due documenti ricordati al Museo di Milano, aveva provveduto a far pubblicare con una sua presentazione la citata relazione nel 1991 sul numero 9 della rivista Studi piacentini dell’Isrec e la stessa relazione più il Piano insurrezionale nei numeri editi nel 2004/2006 della rivista Archivum Bobiense, tutt’ora consultabili presso la biblioteca comunale di Bobbio, con una accurata introduzione ed ampie note esplicative da parte del prof. Flavio Nuvolone, direttore della rivista.
3° Reggimento Alpini - Pinerolo
I sentieri della Grande Guerra (Altopiano di Asiago)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ SVOLTA SUL FRONTE DELLA
RESISTENZA DAL GENERALE DI DIVISIONE BELLOCCHIO GIUSEPPE
La relazione che segue vuole soprattutto essere una fedele esposizione cronologica degli avvenimenti svoltisi nel tempo.
Essa riflette il ciclo di tempo = 25 Luglio 1943 = 26 Aprile 1945 =, il più importante agli effetti del declino e conseguente caduta del fascismo, e viene suddivisa in due distinti periodi:
1° periodo = dal 25 Luglio 1943 al 25 Maggio 1944 = caratterizzato dall’attività da me svolta:
= in primo tempo, dal 25 Luglio all’8 Settembre 1943 - , quale comandante della Zona Militare di Alessandria, con particolare riguardo alla giornata dell’8 Settembre 1943;
= in secondo tempo, dal 9 Settembre 1943 al 25 maggio 1944. – Attività clandestina isolata, prima; agganciato al generale Zambon, dopo.
2° periodo = dal 26 Maggio 1944 al 26 Aprile 1945.
= In primo tempo, dal 26 Maggio al 6 Settembre 1944 = quale Ufficiale Generale facente parte al Comando Generale C.V.L.
= in secondo tempo, dal 7 Settembre 1944 al 26 Aprile 1945 = quale Comandante la Piazza di Milano. =
1° PERIODO
DAL 25 LUGLIO 1943 AL 25 MAGGIO 1944
“1°) 25 Luglio : Il 25 Luglio, giorno del colpo di Stato Badoglio, mi trova ad Alessandria, quale comandante di quella Zona Militare. Da qualche tempo, ancora prima del 25 Luglio, ero in contatto con noti antifascisti facenti parte di una estesa organizzazione antifascista: il Sig. Franzosi Giulio abitante in Milano, Via Marcona 54 e l’On. Pivano di Alessandria, attuale Prefetto di quella città. – Non sto a dire dell’attività antifascista da me svolta prima del 25 Luglio, nella giornata del 25 Luglio e dopo il 25 Luglio. Basterà interrogare, se lo si desidera il sig. Franzosi e l’On. Pivano, i quali potranno riferire ampiamente in merito.
(Pietro Badoglio)
2°) L’8 Settembre : l’8 Settembre mi trova ancora al Comando della Zona Militare di Alessandria. Prima di procedere all’esposizione degli avvenimenti di questa giornata, reputo opportuno precisare le funzioni a me affidate, funzioni di carattere prevalentemente territoriali, e le forze da me dipendenti.
(Firma dell’armistizio 8 settembre 1943 a Cassibile – Siracusa)
Fatta eccezione per due Battaglioni Territoriali Bis, organicamente costituiti, addetti alla protezione e difesa delle ferrovie, ponti, opere d’arte ed impianti vari del territorio della zona e quindi suddivisi in numerosi posti di guardia, alle mie dirette dipendenze non avevo veri e propri reparti organici combattenti, ma truppe ai depositi, costituite da reclute in addestramento (non tutte armate ed equipaggiate) e da molti militari non idonei alle fatiche di guerra, costituiti, in parte, da individui dichiarati idonei ai soli servizi sedentari, in parte, da reduci dai vari scacchieri operativi, fisicamente minorati.
Quasi tutti questi militari per deficienza di armi, erano disarmati.
Sin dai primi mesi del 1943, dietro precise direttive dell’allora Comandante della Difesa Territoriale di Alessandria – Generale Giordano – erano stati studiati e compilati, da ciascun Comandante di Presidio, appositi progetti, i quali prevedevano le disposizioni da applicarsi in caso di emergenza, ossia in caso di improvviso attacco, condotto da forze esterne (non veniva precisato da quali forze).
Il Comitato Difesa aveva disposto che, in caso di attuazione dei progetti di cui sopra, i presidi esterni dipendessero direttamente dal Comandante di Zona e precisamente, per quanto mi riguardava, i presidi di: Voghera = Tortona = Novi Ligure = Acqui Nizza Monferrato = Valenza. Il presidio di Alessandria, restava invece affidato al Generale di Brigata Guaschetti = Ufficiale Generale addetto all’addestramento delle truppe ai depositi delle truppe di Alessandria, che ne rispondeva al Comando Difesa.
Nei primi giorni del mese di Settembre 1943, mi furono impartite, dal nuovo Comandante la Difesa Territoriale di Alessandria, segrete direttive verbali sul contegno da tenersi in caso di improvviso ed inopinato attacco da parte delle truppe tedesche – (nella zona compresa fra Voghera – Tortona – Novi Ligure – Ovada – Acqui – Alessandria, si trovavano allora dislocate truppe germaniche, calcolate a circa quaratamila uomini). Tale contegno, doveva essere improntato a resistenza, per quanto lo consentivano l’efficienza organica e l’armamento delle truppe ai depositi, invero molto deficienti per rispetto alle unità tedesche, perfettamente inquadrate, armate ed equipaggiate.
Analoghe segrete disposizioni verbali, impartii, a mia volta, ai comandanti dei presidi esterni da me direttamente dipendenti ed ai Comandanti dei due Batt. Terr. Bis.
Per quanto riguarda il presidio di Alessandria, provvide il Generale Guaschetti, alla diretta dipendenza del Comando Difesa.
Ciò premesso, espongo lo svolgersi degli avvenimenti nella giornata dell’8 Settembre.
Alle ore 5 circa, una telefonata urgente dell’Ufficiale di servizio del mio Comando, mi avvertiva, presso la mia abitazione, che forze Tedesche avevano improvvisamente e di sorpresa iniziato l’attacco delle Caserme dei presidi esterni e più specialmente della Caserma del 2° Regg. Genio Minatori in Novi Ligure, della Caserma del 38° Regg. Fanteria in Tortona e della Caserma del Regg. Cav. Monferrato in Voghera.
Subito, mi trasferii alla sede del mio Comando, dove fui poco dopo raggiunto dal Generale Guaschetti e da tutti gli Ufficiali del Comando. Messomi immediatamente in corrispondenza telefonica col Comandante le truppe al Deposito del 2° Regg. Genio minatori in Novi Ligure, seppi che forze tedesche avevano circondato la Caserma, intimandone la resa. Confermai al Colonnello, gli ordini precedentemente dati di resistenza.
Mi fu risposto che così si stava facendo, anche se i Tedeschi disponevano di artiglierie e di Carri Armati. Analoghi ordini confermavo telefonicamente al Comandante le truppe al Deposito del 38° Reggimento Fant. Di Tortona, al Comandante del Presidio di Valenza, ed al Comandante del Battaglione Territoriale Bis di Alessandria. Non mi fu, invece, possibile ottenere la comunicazione telefonica col Comandante le truppe al Deposito del Regg. Cav. Monferrato di Voghera , coi Comandanti i presidi di Acqui e Nizza Monferrato, col Comandante del 2° Battaglione Territoriale Bis in Novi Ligure, e col Comandante del Campo prigionieri Ufficiali Inglesi di Gavi, quasi certamente perché le linee telegrafoniche già erano state interrotte dai tedeschi.
Alle ore 8 circa, mi vennero a mancare le comunicazioni telefoniche anche col Comandante le truppe al Deposito del 38° Regg. Fant. Di Tortona e col Comandante del Presidio di Valenza sicchè venni a trovarmi del tutto isolato coi presidi esterni. Intanto le truppe tedesche avevano investito concentricamente la città di Alessandria, con truppe di Fanteria=Artiglieria e Carri Armati.
Col Comando della difesa Territoriale, che si era trasferito il mattino presto in Cittadella presso il Comando del 37° Regg. Fanteria, restai in collegamento telefonico fino alle ore 9 circa, ed ebbi col Capo-Ufficio, Colonnello Capone, due brevi conversazioni telefoniche. Lo informai sulla situazione dei presidi esterni e, richiesto se aveva particolari disposizioni da darmi, mi fu risposto di comportarmi come meglio consigliavano gli avvenimenti.
I Tedeschi intanto, con artiglierie autotrainate e carri armati avevano circondato le più importanti caserme di Alessandria e precisamente: Cittadella, dove erano accasermate le truppe al Deposito del 37° Regg. Fanteria, del 4° Regg. Artiglieria armata, sussistenza – e dove erasi installato il Comando difesa; - la caserma delle truppe al Deposito del 16° Regg. Artiglieria Divisionale; - e quella del 2° Regg. Autieri. – Intimata la resa ai Comandanti delle Caserme, questi rifiutarono, a quanto mi risulta, l’intimazione.
(Caserma Cittadella di Alessandria)
I Tedeschi aprirono allora il fuoco con artiglierie e carri armati specie contro la Cittadella e la Caserma del 16° Regg. Art. Divisionale, mentre le truppe ai Depositi non potevano rispondere che con fucili e poche mitragliatrici. – La Cittadelle disponeva pure, se non erro, di un paio di cannoni di piccolo calibro. Vi furono qualche morto e feriti da una parte e dall’altra. Date le condizioni di netta inferiorità delle truppe ai Depositi, sia per consistenza di reparti, che di armamento, le caserme vennero alla fine occupate; truppe e ufficiali, riuniti in provvisori campi di concentramento nei pressi di Alessandria, vennero in secondo tempo, trasportati altrove, come prigionieri di guerra.
(soldati italiani internati nei campi tedeschi dopo l’8 settembre)
Contemporaneamente alle caserme, furono occupati gli uffici delle Amministrazioni Statali (Stipel – Uffici Postali e telegrafici – Prefettura – Questura – Banche, ecc.).
La sede del mio Comando, dal quale avevo fatto asportare, fin dalle prime ore del mattino, le insegne esterne di Comando ed era stato chiuso il portone di entrata, togliendone la sentinella, non fu individuato. Potei così rimanervi sino alle ore 16 circa, unitamente al Generale Guaschetti e a tutti gli ufficiali del Comando, personale di truppa compreso.
Si trattava ora di uscirne inosservati, per sfuggire alla cattura. Fu deciso di far ritirare dalle rispettive abitazioni gli abiti borghesi, mandando militari di truppe del Comando, che già avevano con loro gli abiti civili. Questi infatti, uscendo in abito borghese da una porticina che immetteva sul rovescio della sede del Comando, raggiunsero le abitazioni degli ufficiali, ritornandone con gli abiti civili. Indossatili, alla spicciolata ci allontanammo inosservati dal Comando.
Alle ore 17 circa, raggiunsi la mia abitazione, dove subito mi incontrai col Maresciallo CC.RR. Varzo, Comandante la Stazione CC.RR. di Orti ed accasermata nello stesso fabbricato da me abitato. Il Maresciallo, ottimo sottufficiale, mi consigliò di allontanarmi al più presto da Alessandria perché gli risultava che già si stavano facendo attive ricerche sulla mia persona. – Seppi infatti, che la sede del mio Comando era stata alla fine individuata ed occupata dai tedeschi, poco dopo lo sgombero da parte del personale italiano.
Risposi al Maresciallo, che per quella notte ancora sarei rimasto a riposare a casa mia; all’indomani avrei deciso il da farsi.
Il maresciallo Varzo, si disse non del tutto convinto della mia decisione e, a mia insaputa, dispose perché un appuntato dei CC-RR sorvegliasse, durante tutta la notte, la mia abitazione (due camere a piano rialzato). Fu questa disposizione molto opportuna, perché al mattino successivo prestissimo(verso le ore 5) un’automobile con a bordo due ufficiali tedeschi e un ufficiale italiano della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) sostavano davanti alla mia abitazione. Interrogato l’appuntato dei CC.RR. se in quella abitazione abitasse il Gen. Bellocchio, Comandante la Zona Militare, l’appuntato rispose che il Gen. Bellocchio non abitava precisamente in quella casa, ma che gli risultava abitare in altra casa di via Mazzini. A questa risposta, l’automobile, con gli ufficiali si allontanò. Il Maresciallo Varzo fu subito da me e si decise insieme che io partissi immediatamente, riparando nelle vicinanze di Alessandria presso la fattoria di certo Sig. Ferrari Giuseppe, conoscente del Maresciallo. Accompagnato da due carabinieri, raggiunsi in bicicletta, attraverso i campi, detta fattoria alle ore 6,30 del 9 Settembre.
Ebbe così inizio la mia vita clandestina, sul fronte della resistenza. “
(La Resistenza in provincia di Alessandria)
(Il ribelle - Foglio dei partigiani cattolici di Brescia rinato nel 1944 ad opera dell’alpino “beato” Teresio Olivelli )
Testimonianze partigiane con i partigiani dell'oltrepò
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
“3°) – Dal 9 al 27 Settembre 1943 : vissi questo periodo, nei dintorni di Alessandria presso la fattoria del Sig. Ferrari, prima, e presso la fattoria “La Badia”, di proprietà di certo Sig. Giordano Emanuele, dopo.
La mia attività, fu specialmente rivolta alla propaganda presso i numerosi militari sbandati (in seguito agli avvenimenti dell’8 Settembre) perché non si presentassero alle autorità nazi-fasciste, ma riparassero presso le rispettive famiglie, nascondendosi; se non possibile, presso famiglie di coloni, in campagna. Si vennero così costituendo i primi piccoli nuclei di militari sbandati che, volontariamente e quasi automaticamente, si posero agli ordini dei più audaci e più autorevoli acquistando a poco a poco la fisionomia di partigiani.
In questo periodo, e precisamente verso il 15 Settembre, fui avvicinato da due Te. Colonnelli di Artiglieria dell’ex-Comando Difesa di Alessandria, per informarmi che, per ordine del Capo di Stato Maggiore della Difesa del Territorio Nazionale, avrei dovuto assumere il Comando della Difesa Territoriale di Alessandria.
Rifiutai, affermando che dopo gli avvenimenti dell’8 Settembre, non riconoscevo detto ordine, e, comunque, non intendevo collaborare coi nazi-fascisti.
Continuavo intanto ad avvicinare il Maresciallo dei CC.RR. Varzo, il quale mi teneva informato sulle attive ricerche che le autorità nazi-fasciste facevano della mia persona, finchè mi consigliò di abbandonare la regione di Alessandria, dove ero molto conosciuto per avervi esercitato per oltre due anni il Comando della Zona Militare, e dove ormai era anche risaputa la mia attività di sobillatore dei militari sbandati contro le autorità nazi-fasciste.
Decisi allora di riparare a Milano, dove giunsi, in ferrovia, il mattino del 28 Settembre 1943, prendendo alloggio, sotto falso nome e con documenti falsi, presso la famiglia del Sig. Restelli Rino in via Vanvitelli, 42.
(Milano dopo l’8 settembre 1943)
4°) Dal 28 Settembre al 18 Dicembre 1943 : Non appena giunto a Milano, non tardai a prendere contatto con parecchi ufficiali che già vivevano clandestinamente, più specialmente, col Generale Zambon e col Generale Robolotti, dai quali seppi che in Milano era in atto un movimento di resistenza.
Il gen. Zambon, infatti, era già in collegamento con elementi borghesi, primo fra tutti il Sig. Parri (Maurizio) del P.D.A.(partito d’Azione), per la costituzione di un compatto fronte di resistenza, appoggiato a forze armate partigiane, in via di costituzione.
(Ferruccio Parri – nome di battaglia Maurizio)
Interpellato se intendevo entrare a far parte del movimento, accettai senz’altro e con molto entusiasmo. I miei contatti clandestini, sia col Gen. Zambon che col Gen. Robolotti, si fecero così frequenti; la mia attività, in questo periodo, fu più specialmente informativa, per conoscere le attività nazi-fasciste tanto nel campo militare, che in quello politico.
Le prime formazioni partigiane, specie quelle della montagna, andavano frattanto organizzandosi, prendendo sempre più veste militare. Fu nella seconda decade del mese di Dicembre che il Gen. Zambon mi invitò a trasferirmi nell’oltre Po Pavese per stabilire contatti ci capi dell’ORGANIZZAZIONE partigiani di quella regione, in particolare con certo Ten. Col. De Scalzi e riferire sull’entità di efficienza di essa.
Il 18 Dicembre 1943 lasciai così Milano e mi trasferii nell’Oltre Po Pavese, prendendo inizialmente, clandestina dimora nei pressi di Stradella in località Montebruciato, presso il Dott. Carlo Bionda.
(Partigiani garibaldini – Pavia 1944)
Prima di proseguire nell’esposizione cronologica degli avvenimenti che interessano la mia attività nell’Oltre Po Pavese, stimo opportuna qui precisare che durante la mia permanenza a Milano sordo ai numerosi appelli, intimazioni e minacce delle autorità italiane repubblicane, non mi presentai alle autorità militari della R.S.I. ne mai mi presentai in avvenire, durante tutto il periodo clandestino di resistenza.
5°) Dal 18 Dicembre 1943 al 28 Febbraio 1944 : Questo periodo è caratterizzato da contatti da me presi con Capi ed organizzatori delle formazioni patriottiche dell’Oltre Po Pavese e del Piacentino. Più specialmente:
a) nell’Oltre Po Pavese dal 18 Dicembre 1943 al 18 Gennaio 1944 presi successivamente dimora:
- presso il Sig. Carlo Bionda, in Montebruciato, nelle vicinanze di Canneto Pavese;
(Montebruciato- oggi)
- presso l’Avv. Berzio, in località Losanna-Mornico, paesetto sulle colline di Casteggio;
(Casteggio PV- oggi)
- presso il Sig. Cesare Cantù, in località Corriggio sul Po, vicinanza di Stradella;
(località Corriggio di Stradella)
- presso il Sig. Mario Cantù, in località Pirocco, vicinanze di Broni.
(Broni- oggi)
Stabiliti contatti con parecchi capi ed organizzatori delle formazioni patriottiche di quella regione e più specialmente col Ten. Col. De Scalzi Luigi (Libero) di Stradella, segnalatomi dal Gen. Zambon, prima che io lasciassi Milano, quale principale esponente del movimento partigiano dell’Oltre Po Pavese.
(Casale Staffora- partigiani 1944. Da sinistra: “Tom”, “Rino”(Dorino Mazza), “Americano”, ultimo a destra “Miro”(Anton Ukmar))
Il 26 Dicembre 1943, dopo contatti parziali, potei riunire presso di me in Montebruciato, nell’abitazione del Dott. Carlo Bionda, parecchi capi ed organizzatori del movimento patriottico. Erano presenti alla riunione: Ten. Col. De Scalzi Luigi - Sig. Cagnoni Bruno - Sig. Riccardi Gianni - Dr. Arrigoni Giacomo - Sig. Mazzoni Giuseppe.
Seppi così del procedere, con non poche difficoltà, dell’organizzazione delle formazioni partigiane della Zona di Pecorara - Romagnese - Zavattarello - Varzi.
(Partigiani Repubblica di Varzi 1944)
Il mattino del 17 Gennaio, mentre mi trovavo al Corriggio, presso il Sig. Cesare Cantù, venni informato, da fiduciari, che la mia presenza era stata segnalata alle autorità nazi-fasciste di Stradella, Broni, Casteggio e che ero attivamente ricercato.
Anzi, il Maresciallo dei CC.RR. di Casteggio, era stato presso l’Avv. Berzio in Losanna-Mornico, sicuro di trovarmi colà, ma io ne ero partito qualche giorno prima per il Corriggio. Per la verità seppi poi, che il Maresciallo desiderava solo informarmi che la mia presenza era ormai nota nella regione e rappresentarmi tutta l’opportunità ch’io mi trasferissi altrove.
Nel pomeriggio dello stesso giorno 17 Gennaio, mi portai al Pirocco presso il Sig. Mario Cantù ed il successivo 18 Gennaio mi trasferii nel Piacentino, dove rimasi sino a tutto il 28 Febbraio.b)
In provincia di Piacenza, dal 18 Gennaio al 28 Febbraio 1944, presi clandestina dimora in Ceradello di Carpaneto, presso la Sig.ra Dina Bionda Ved. Braghieri. Stabilii contatti con capi e comandanti del movimento partigiano e più specialmente:
(Carpaneto piacentino – oggi)
- Con l’Avv. Daveri Mario, uno dei capi del movimento di resistenza della provincia di Piacenza. Condannato in contumacia ad otto anni di reclusione dal tribunale Speciale di Piacenza, fu poi arrestato e deportato in un campo di concentramento in Germania.
(avv.Francesco Daveri)
- Col giovane Italo Londei, studente universitario del 4° anno di ingegneria, comandante di una brigata della Divisione Giustizia e Libertà, agli ordini del capitano CC.RR. Cossu (Fausto).
(Italo Londei)
Raccolsi così dati e nortizie sull’Organizzazione delle formazioni partigiane della Provincia di Piacenza, specie di quelle dell’Alta Val Trebbia e dell’Alto Nure.
Ma anche qui, come già sull’Oltre Po Pavese, la mia presenza fu risaputa e segnalata alle autorità nazi-fasciste di Piacenza, le quali disposero attive ricerche per la mia cattura, specie nella regione montana del Piacentino.
Si riteneva infatti per certo, che io fossi al Comando di quelle formazioni, anche perché io sono di Bobbio (Val Trebbia) centro partigiano molto importante, durante tutto il periodo di resistenza.
6°) Dal 1° Marzo al 25 Maggio 1944 : per sfuggire alle ricerche nazi-fasciste che, per sicure segnalazioni avute, si facevano sempre più attive, il 1° Marzo 1944, lasciai il Territorio di Piacenza e feci ritorno a Milano.
Ristabiliti i contatti col Gen. Zambon, col Gen. Robolotti e con altri Ufficiali del fronte della resistenza(Col. Adabbo - Col. Maccarrone - Col. Marini ed altri) ripresi la mia normale attività nel campo informativo, assolvendo anche compiti specifici, che mi venivano di volta in volta assegnati dal gen. Zambon.
Trascorsero così i mesi di Marzo e di Aprile. Ai primi di Maggio, interpellato dal Gen. Zambon, se avessi gradito l’eventuale mia assegnazione ad un costituendo Comando di Piazza di Milano, risposi affermativamente.
Il Gen. Zambon, prese buona nota del mio consenso, riservandosi di indicarmi quando avrei dovuto assumere detto comando.
Si giunse così al 25 Maggio 1944 sotto la quale data, in seguito all’arresto dei Generali Zambon e Robolotti, ha inizio il 2° periodo della mia attività clandestina, la più laboriosa e la più pericolosa.”
(Settembre 1943 - Milano)
Protagonisti della Repubblica di Varzi
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
2° PERIODO
Dal 25 Maggio 1944 al 26 Aprile 1945
“Ho più sopra precisato che questo periodo, trascorso interamente a Milano, è stato il più laborioso agli effetti dell’attività svolta ed il più pericoloso agli effetti della vita clandestina.
Non starò a dire dei pericoli corsi, degli inevitabili temporanei momenti di scoramento sempre e prontamente superati, delle molteplici difficoltà incontrate per la ricerca di chi fosse disposto ad ospitarmi clandestinamente. Nell’elenco 1) vengono elencati i cambi di abitazione da me effettuati in Milano per ragioni di sicurezza durante questo 2° periodo, e le famiglie e persone che mi accordarono generosa e patriottica ospitalità. L’allegato 1) riporta pure i cambi di residenza e di abitazione da me effettuati durante il 1° periodo di vita clandestina.
Dirò invece, della mia attività nel campo organizzativo ed operativo, attività improntata, sia presso il Comando Generale che il Comando Piazza, alla più rigida apoliticità. Uguale linea di condotta seguirono gli Ufficiali (specie quelli in s.p.e.) miei collaboratori diretti.
Dichiaro infine che intervenni a tutte le riunioni di comando, sia parziali che plenarie, meno una (assente giustificato perché ammalato con febbre alta) e a tutti i numerosi abboccamenti presi con elementi isolati, sia militari che politici, del fronte della resistenza.
- Per una più chiara esposizione, questo secondo periodo viene suddiviso in due sottoperiodi, per ognuno dei quali esercitai distinte funzioni, e precisamente:
= Dal 25 Maggio al 6 Settembre 1944 = Generale del Comando Generale C.V.L.(Corpo Volontari della Libertà)
= Dal 7 Settembre 1944 al 26 Aprile 1945 = Comandante la Piazza di Milano.
1°) Dal 25 Maggio al 6 Settembre 1944: il 25 Maggio 1944 furono arrestati in Milano = Piazza Vagner = e tradotti a S. Vittore, il Gen. Zambon e il Gen. Robolotti. Dopo pochi giorni, su designazione del C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) subentrai ai predetti Ufficiali Generali, assumendone le rispettive funzioni.
Miei collaboratori, nel campo strettamente tecnico-militare, furono, fin dal primo momento, i seguenti Ufficiali, già affiancati al Generale Zambon:
a) Colonnello Adabbo Michele (Rossi) Capo del servizio informazioni
b) Colonnello Maccarrone Ugo (Macchi) Ufficiale di Collegamento con un nucleo di ufficiali a disposizione, esiguo inizialmente ma che andò in seguito raffittendosi per sopperire a necessità contingenti. Da questo nucleo, vennero in seguito, tratti consulenti tecnici per i 9 settori della città di Milano (elenco completo del nucleo vedi allegato 2)
c) Maggiore in servizio di Stato Maggiore (Guidi) a disposizione per la compilazione di eventuali particolari studi tecnico-militari.
- Dietro segrete disposizioni del Comando Alleato in Italia e del Governo Bonomi, si provvide, alla fine di Maggio alla costituzione del Comando generale C.V.L. (Corpo Volontari della Libertà Alta Italia), che, ai primi di Giugno, risultò così composto:
- Bellocchio Giuseppe (Comaschi) “Generale di Divisione”
- Italo - Rappresentante del Partito Comunista
- Maurizio - Rappresentante del Partito d’Azione
- Farina - Rappresentante del Partito Socialista
- Mattei - Rappresentante del Partito Demo-Cristiano
- ? - Rappresentante del Partito Liberale = sostituito in secondo tempo, dal Maggiore S.P.E. Argenton.
Il Comando Generale per lo svolgimento della propria attività, si riuniva ogni 3 o 4 giorni. Non facile riusciva la ricerca dei locali di riunione che, per evidenti ragioni clandestine di cospirazione, dovevano essere cambiati quasi ogni volta. In genere, venivano effettuate due riunioni settimanali: una contenuta, sempre per ragioni di sicurezza a “tre” io - Maurizio, rappresentante del Partito d’Azione, - Italo, rappresentante del Partito Comunista, ed una plenaria, cioè con la totalità dei membri del Comando, nella quale veniva, in genere, discusso, approvato o modificato, quanto era stato precedentemente approntato nella riunione a tre.
Il lavoro, invero molto difficile, per ragioni ambientali di sicurezza, e molto laborioso, fu più specialmente inteso:
= a dare veste militare alle varie formazioni partigiane che erano andate costituendosi in tutte le regioni, specie montane, dell’Italia non ancora liberata.
= All’Organizzazione territoriale partigiana dell’Alta Italia: ripartizione in regioni e zone, basata sulle possibilità e sull’entità delle forze in sito.
= Al raggruppamento ed al sempre migliore inquadramento delle forze partigiane dell’Alta Italia.
= Allo studio per l’occupazione e successivo sbarramento della Val d’Ossola da parte di determinate formazioni patriottiche.
= Indipendentemente dal lavoro organizzativo di cui sopra provvidi a stabilire diretti contatti:
= Col Generale Masini (Fiore), Comandante delle formazioni Fiamme Verdi della Val Camonica e della Valtellina, al fine di meglio inserirle nel complesso delle forze partigiane. All’uopo il Gen. Masini partecipò a due riunioni del Comando Generale a “tre”.
(Partigiani Val Camonica)
= Col Colonnello degli Alpini Basile (Sergio): Comandante di Formazioni Patriottiche della Bergamasca (Valsassina, Valseriana, Val Brembana) per lo stesso scopo di cui alle Formazioni Fiamme verdi.
= Con formazioni di ex-Carabinieri, che andavano raggruppandosi intorno al Maggiore Giovannini (Gerolamo), per la loro utilizzazione nella città di Milano, al momento dell’insurrezione.
= Con il Comando della Legione delle Guardie di Finanza di Milano, rimaste in servizio della R.S.I. ma pronta ad agire con i volontari della libertà, al momento opportuno.
(Partigiani lombardi – da video ritrovato)
(Partigiani di Bergamo 1944)
Il 6 Settembre 1944, il Generale Cadorna Raffaele, paracadutato in Alta Italia (Val Camonica), prese contatti in Milano, Via Gustavo Modena, 3 , con me, con Maurizio del P.D.A. e con Italo del P.C. Il predetto Generale, munito di credenziali del Governo Bonomi e del Comando Militare Alleato, veniva a prendere la direzione militare del movimento partigiano in Alta Italia. Cessavo così dalle mie funzioni di generale presso il Comando Generale C.V.L., e, sotto la data del 7 Settembre venivo investito della carica di Comandante della Piazza di Milano.
3°) -Dal 7 Settembre 1944 al 26 Aprile 1945 ; Caratterizzato dalla mia attività di Comandante della Piazza di Milano.
Tale Comando, costituitosi il 18 Agosto 1944 con la denominazione di “ Comando Militare della Piazza di Milano”, era più specialmente incaricato dello studio, organizzazione e condotta, del movimento di liberazione della città di Milano.
La riunione di insediamento del Comando Piazza, ebbe luogo il 18 Agosto stesso. Per incarico ricevuto dal Comando Generale, detta riunione fu presieduta da me, quale rappresentante del Comando Generale. - In tale occasione, presentai ai membri del Comando Piazza, (Franco-comunista, Marco-Partito d’Azione, Frattini-socialista, Fausto-liberale, Neri demo-cristiano, Ferri-repubblicano), il Maggiore in servizio di Stato maggiore Bobbio Scipione (Guidi), quale rappresentante militare in seno al Comando Piazza, - Accennai all’esistenza di un abbozzo di studio, compilato dal Maggiore Bobbio su direttive del Generale Zambon, per la liberazione della città di Milano, studio ancora molto incompleto e teorico, ma che poteva servire di largo orientamento per uno studio accurato, razionale e completo.
I membri del Comando Piazza, convennero sulla necessità di dare pieno e razionale sviluppo all’attività del Comando Piazza. - La seduta terminava così in una atmosfera di viva cordialità, con la promessa di onesta ed attiva collaborazione.
Il 7 Settembre 1944 assunsi, come sopra detta, il Comando della Piazza di Milano, che, in seguito a parziale sostituzione nei suoi elementi costitutivi, per rispetto alla primitiva formazione, risultò così composto:
- Generale di Divisione Bellocchio Giuseppe-Comandante
- Monti, comunista - Commissario Politico
- Marco, partito d’Azione-Capo di Stato Maggiore
- Maggiore Bobbio - Capo Ufficio Operazioni e informazioni
- Pagliano, socialista - Capo Ufficio mobilitazione e collegam.
- ? , demo-cristiano, - Capo Ufficio Trasporti e vettovagliamento
- Fausto, liberale - Capo Ufficio sabotaggio e anti-sabotaggio
- Ferri, repubblicano - Capo Ufficio sanitario.
Come già per il Comando Generale, anche il Comando Piazza per lo svolgimento della propria attività, effettuava di massima due riunioni settimanali: una, contenuta per ragioni cospirative di sicurezza a quattro: io - Monti, commissario politico - Marco, Capo di Stato Maggiore - Maggiore Bobbio, Capo Ufficio Operazione ed informazioni ed una plenaria, cioè con la totalità dei membri del Comando, nella quale veniva in genere discusso, approvato o modificato, quanto era stato precedentemente approntato nella riunione a quattro.
Per una maggiore chiarezza e comprensione, l’attività svolta, quale Comandante di Piazza di Milano, viene esposta in appresso, per bimestre o per mese.”
(Ivanoe Bonomi)
(Partigiani Fiamme verdi di ispirazione cattolica sfilano a Brescia – aprile 1945)
(1944 – Bombardamenti su Milano)
Ultimo discorso pubblico del Duce Benito Mussolini al Teatro Lirico di Milano, 16 dicembre 1944
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
“- Attività del bimestre Settembre- Ottobre 1944
Nelle riunioni dei mesi di Settembre-Ottobre, furono esaminati, ed in gran parte risolti, i seguenti problemi di particolare urgenza ed importanza:
- Ripartizione della città di Milano in 9 settori - Sesto S.Giovanni compreso - ed organizzazione dei rispettivi Comandi, seguendo, di massima, gli stessi criteri già seguiti per la costituzione del Comando Piazza.
Si decide che a ogni Comando di Settore, venga affiancato un consulente tecnico-militare, scelto fra i migliori del nucleo ufficiali a mia disposizione.
- Organizzazione dei collegamenti durante la fase clandestina.
- Attivazione di una rete informativa, col compito di individuare, attraverso i comandi di settore, gli obiettivi nemici. Tali obiettivi, serviranno per la compilazione di una pianta, degli obiettivi di Milano.
- Sviluppo razionale di attività operative, miranti al sabotaggio della organizzazione nemica dei collegamenti, dei trasporti, dei comandi ecc. Si stabilisce di emanare bollettini quindicinali delle operazioni svolte.
- Sviluppo di attività propagandistiche per ottenere la disgregazione morale nelle file nazi-fasciste, esaltando le vittorie Alleate, i nostri scopi, la resistenza della popolazione accanto alle formazioni patriottiche, ecc. - Si stabilisce la periodica distribuzione, fra la popolazione, di numerosi volantini.
- Situazione di enti armati speciali (Guardie di Finanza, vigili del fuoco, vigili urbani), ancora in servizio e con i quali già erano stati presi agganci sia da parte militare, sia da parte politica. - I membri del Comando Piazza sono d’accordo nel condizionare, per ,il momento, l’apporto di tali corpi armati speciali, data la loro particolare posizione di apparente adesione alla R.S.I.
- Paziente e delicato fu invero, il lavoro per ottenere l’accordo fra i rappresentanti dei vari partiti e per incanalarli all’assolvimento dei compiti loro affidati. Non pochi furono i contrasti da conciliare ed appianare, specie quelli relativi alla ripartizione fondi fra le rispettive formazioni, all’entità, consistenza ed armamento delle formazioni stesse.
Ciò nondimeno, superando non poche difficoltà e pericoli insiti nella vita clandestina, perdendo elementi del Comando in seguito ad arresti praticati dalle forze di polizia nazi-fasciste (Monti, rappresentante del partito comunista - commissario politico = Pagliano, rappresentante del partito socialista = Magg. Ugo, incaricato della compilazione della pianta degli obiettivi e vari agenti informativi) si riesce nei mesi di Settembre-Ottobre a svolgere un piano abbastanza organico di lavoro.
E’ stato così possibile procedere:
- alla compilazione di un primo concetto d’azione per l’insurrezione della città di Milano, inviato al Comando, generale per l’approvazione.
- A tracciare un piano organico per lo sviluppo operativo del sabotaggio. Si cominciano a raccogliere i primi risultati dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica)e dei SAP(Squadre di Azione Patriottica).
-Ad una prima ripartizione delle forze tra i vari settori, che risultano piuttosto esigue e molto poco armate.
- Alla compilazione di un primo elenco di obiettivi e conseguente primo impianto della pianta degli obiettivi.
- Alla compilazione e diramazione (tramite i rappresentanti politici) ai Comandi di settore ed ai consulenti tecnico-militari, di una serie di ordini e disposizioni, intesi a perfezionare l’Organizzazione interna dei Comandi di settore e quella delle rispettive formazioni.
A fissare criteri di impiego dei corpi armati speciali, e di talune formazioni della montagna, all’atto della insurrezione: ex Carabinieri della Brigata Giovannini, Guardie di Finanza, Forze foranee della provincia di Milano, talune formazioni della Val d’Ossola e Valsesia (Moscatelli), che il Comando Generale, con ogni probabilità, avrebbe messo a disposizione del Comando Piazza, al momento opportuno.
(Comandanti partigiani dell’Ossola)
Per la verità, devo qui rilevare che dalle riunioni erano sovente assenti i rappresentanti di qualche partito, specie quello liberale e demo-cristiano e che i contrasti, fra i membri dei vari partiti, permanevano piuttosto accentuati, sempre per le questioni: fondi, forze, talchè difficile e delicato riusciva il compito di appianare le divergenze e convogliare gli sforzi per la realizzazione degli scopi prefissi.
Frattanto in seguito agli arresti praticati dalla polizia nazi-fascista, a sostituzione di membri del Comando Piazza per iniziativa delle direzioni dei vari partiti, ed a nuove necessità contingenti, il Comando Piazza subiva nei mesi di Settembre ed Ottobre, alcune sostituzioni nei suoi elementi costitutivi e qualche rimaneggiamento nella sua costituzione organica interna.
così:
- Il commissario politico Monti del partito comunista arrestato viene sostituito da Franco;
- Il rappresentante del partito socialista Pagliano, arrestato viene sostituito da Marcello, quale capo ufficio mobilitazione e collegamento;
Il rappresentante del partito demo-cristiano, viene sostituito da Cipolla, quale capo ufficio trasporti e vettovagliamento.
Rimangono in posto, a coprire le primitive cariche:
- Marco del partito d’Azione = Capo di Stato Maggiore
- Fausto del partito liberale = Capo ufficio sabotaggio ed antisabotaggio.
- Magg. Bobbio capo ufficio operazioni. Al Magg. Bobbio vengono peraltro affiancati due ufficiali: il Ten. Col. Mario presentato dal rappresentante del partito comunista Franco, incaricato di compilare progetti di attacco per gli obiettivi più importanti della città di Milano; Capitano Motta Carlo (Giorgio), presentato dal rappresentante del partito socialista Marcello, incaricato di compilare studi per la organizzazione difensiva di capisaldi alla periferia di ogni settore della città di Milano.
- Si stabilisce infine la costituzione di un ufficio informazioni, sgravando così l’ufficio operazioni. - A capo di tale ufficio, sarà nominato un ufficiale da fornirsi dal partito socialista.
Questa nuova organizzazione degli uffici e del lavoro, raggiunta verso la fine di Ottobre, fa prevedere per l’avvenire un certo acceleramento nell’attività clandestina del Comando Piazza.
- Attività del mese di Novembre -
Nel mese di Novembre si va maggiormente organizzando:
- l’apporto delle forze foranee della provincia di Milano nella fase pre-insurrezionale, con azioni di sabotaggio e guerriglia nelle zone di rispettiva pertinenza.
- Il concorso delle stesse forze foranee, durante la fase insurrezionale: loro afflusso in Milano, al momento opportuno, con passaggio alle dipendenze dei rispettivi comandi di settore.
- Il concorso delle forze partigiane della montagna, durante la fase insurrezionale: le formazioni della Val d’Ossola e della Val Sesia (Moscatelli) vengono messe dal Comando Generale a disposizione del Comando Piazza: afflusso in Milano, dal lato nord-ovest a cavallo della Valle Olona.
Quanto sopra porta a numerosi contatti fra me e ufficiali di collegamento delle formazioni foranee e della montagna ed a numerose discussioni, per superare le non poche difficoltà di carattere tecnico-militare.
Vengono inoltre definite talune questioni delicate e precisamente:
- La brigata ex Carabinieri Giovannini costituirà riserva a disposizione del Comando Piazza. Detta Brigata dovrà però riorganizzarsi sulla base delle formazioni partigiane; accanto al Comandante, si affiancherà un Commissario politico; le forze, verranno raggruppate in squadre, distaccamenti e brigate.
Molte diffidenze esistevano invero da parte dei rappresentanti politici, verso gli ex-carabinieri, e solo dopo numerose e laboriose discussioni si riuscì a farle immettere nelle organizzazioni del C.V.L.(Corpo Volontari della Libertà)
- La posizione dei consulenti tecnico-militari dei 9 settori della città di Milano, viene chiarita nel senso che ad essi non si può attribuire la responsabilità dell’impiego delle formazioni partigiane, in quanto essi non esercitano funzioni di comando vere e proprie. - La responsabilità resta invece devoluta ai Comandi di settore, ai quali è legato l’effettivo impiego delle forze settoriali.
Nello stesso mese di Novembre, attivi procedono pure i lavori per l’insediamento dei Comandi di settore e dei rispettivi consulenti tecnico-militari.
Purtroppo, gli arresti fra gli elementi costituenti i 9 Comandi di settore sono frequenti e molto spesso, quando si ritiene che un Comando di settore sia insediato con tutti i suoi elementi ed in condizioni di poter funzionare, si è costretti rifare il lavoro ed a rinnovare gli “agganci”, per la caduta di qualche elemento.
Nella terza decade del mese di Novembre, infine, su decisioni del partito comunista, il Commissario politico del Comando Piazza Franco viene sostituito da Ugo ,proveniente dalla Venezia Giulia.
- Attività del mese di Dicembre 1944 :
Causa il succedersi di dolorosi infortuni ed incidenti, l’attività del mese di Dicembre è stata alquanto intralciata.
- Il Comando Piazza subisce infatti, una nuova grave perdita.
Marco (Sergio Kasman del partito d’azione-Capo di Stato Maggiore), bella figura di puro patriota, per il tradimento di un membro del partito stesso, viene catturato e vilmente assassinato dalla polizia nazi-fascista. Lo sostituisce, nel Comando Piazza, Bortolo (Signorelli) delle stesso partito.
- Vittima dello stesso traditore, è il consulente militare del settore Venezia, Ten. Col. A.A. Mazza, che viene arrestato e tradotto al carcere di S. Vittore. Sottoposto a tortura, non parla ed uscirà da S. Vittore, solo dopo la caduta del fascismo.
- Una grave accusa infine viene mossa dai membri del Comando Generale, contro il rappresentante del partito socialista del Comando Piazza, Marcello. L’accusa sostiene che farebbe il doppio gioco. Il Comando Piazza, provvede al suo temporaneo allontanamento dal Comando stesso, e nomina una commissione d’inchiesta.
Il partito socialista, sostituisce Marcello con Rolando.
L’inchiesta si chiude a favore di Marcello, che viene liberato da qualsiasi accusa e sospetto. Per ragioni di opportunità, resta però confermata la sua sostituzione con Rolando.
Malgrado infortuni ed incidenti, intenso procede il lavoro a dare veste sempre più concreta al piano insurrezionale, a raccogliere schizzi e dati per la compilazione dei progetti di attacco per ogni obiettivo di particolare importanza, a completare la pianta degli obiettivi stessi della Piazza di Milano.”
(Partigiani Val Sesia)
(Cino Moscatelli Comandante Partigiani Val Sesia)
"Ciro"Eraldo Gastone, comandante militare della Divisione Valsesia.
25 aprile Festa della Liberazione, Kasman: occorre insegnare la storia fin da bambini
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
“- Attività del mese di Gennaio 1945 :
Nel mese di Gennaio, l’attività del Comando Piazza si intensifica:
- I comandi di settore, si insediano quasi completamente con i rispettivi consulenti tecnico-militari.
- Il collegamento con le formazioni di montagna (Moscatelli) viene mantenuto tramite l’ufficiale di collegamento Guasta.
- Si precisano, nei particolari, i criteri di impiego delle forze cittadine, delle forze foranee e di quelle della montagna.
- Si intensifica l’azione di sabotaggio nell’interno della città e della provincia, mirando a disorganizzare sempre più servizi e collegamenti nemici ed a portare terrore nelle formazioni nemiche. - Alle azioni repressive fasciste, si risponde con controazioni sempre più violente. I bollettini delle azioni svolte dai patrioti hanno una sempre maggiore diffusione. Da quindicinali, diventano settimanali.
(Foglio clandestino S.A.P)
- La propaganda nazi-fascista si fa sempre più serrata.
- Gli organi politici del Comando Piazza mirano a affittire sempre più le proprie formazioni con nuovi agganci ed a procurarsi armi per disporre di un numero sempre maggiore di combattenti.
- Attività del mese di Febbraio 1945 :
Il 1° Febbraio, furono arrestati in Largo Cairoli da agenti delle S.S. Italiane, al servizio dei tedeschi, il Col. Maccarrone, il Maggiore Bobbio e la sua segretaria. Dopo 36 ore, nulla essendo risultato a loro carico, vengono rilasciati.
L’infortunio portò, peraltro, un certo turbamento nel normale svolgimento dell’attività del Comando Piazza, specie nel campo dei collegamenti, parecchi dei quali furono per qualche tempo interrotti. Il Colonnello Maccarrone infatti manteneva i collegamenti fra me ed i consulenti tecnici dei vari settori, mentre il Magg. Bobbio li manteneva con il Comando Generale.
Siccome da informazioni fiduciarie, risultava quasi accertato che i predetti due ufficiali, per quanto rilasciati, continuavano ad essere pedinati da agenti della polizia nazi-fascista, (il Maccarrone subì pure una minuta perquisizione nella propria abitazione), per evidenti ragioni prudenziali e di sicurezza disposi che il Maccarrone cessasse dal suo incarico e fosse sostituito, nella sua qualità di Ufficiale di Collegamento coi consulenti tecnici, dal Te. Col. Commissario R.E. Aprile, e che il Magg. Bobbio sospendesse temporaneamente il suo intervento alle sedute del Comando Piazza, pur continuando a prestare, in forma molto segreta, le sue funzioni di capo-ufficio operazioni.
Malgrado gli infortuni di cui sopra, furono trattate importanti questioni e precisamente:
- Siccome il piano generale insurrezionale, per la mancanza di alcuni importanti dati ancora non si era potuto completare, provvidi a far compilare un piano di rapida attuazione nell’eventualità di un crollo improvviso dei nazi-fascisti. Tale piano, letto e discusso nella seduta plenaria del 16 Febbraio salvo poche brevi modifiche, viene approvato e diramato ai comandi di settore, perché con la collaborazione di consulenti tecnici, possano dare le conseguenti tempestive disposizioni, per la sua eventuale pronta attuazione.
Si provvide inoltre:
- Alla quasi completa compilazione della pianta degli obiettivi della città di Milano.
- All’impianto e modalità di funzionamento dei tribunali speciali di guerra settoriali.
- Alla migliore organizzazione dei servizi, specie quelli sanitari e di vettovagliamento.
- Attività del mese di Marzo 1945 :
Nel mese di Marzo, il Comando di Piazza subisce, per iniziative delle direzioni dei vari partiti e senza preavviso alcuno, molte sostituzioni nei suoi elementi costitutivi.
Così:
- Il Commissario politico del Partito comunista Ugo, viene sostituito da Milani.
- Il capo di stato maggiore Bortolo del partito d’azione, viene sostituito da Primo e, poco dopo, da Collini (Magg. S.P.E. di fanteria) proveniente da Torino.
- Il rappresentante del partito socialista Rolando , viene sostituito da Oliva (Ten. di complemento autieri).
- Il rappresentante del partito liberale ? , viene sostituito da Mondino (Capitano in S.P.E. di Artiglieria)
- Il rappresentante del partito demo-cristiano Longo, viene sostituito da Galvan (Capitano in S.P.E. di artiglieria).
Continua a rimanere in carica, il solo rappresentante del partito repubblicano Ferri.
Malgrado lo stato di crisi in cui viene a trovarsi il Comando, per l’improvvisa e quasi totale sostituzione dei suoi elementi, effettuata proprio alla vigilia di avvenimenti decisivi, il Comando Piazza e più specialmente l’ufficio operazioni, lavorano intensamente per raccogliere le file di tutta l’attività svolta. Infatti:
- Nella prima decade di Marzo si completa e si dirama, a tutti i comandi di settore, ai consulenti tecnici e a tutti gli interessati, il piano insurrezionale vero e proprio, che viene così a sostituire quello di rapida attuazione, precedentemente diramato per l’eventualità di un crollo improvviso dei nazi-fascisti.- Sulla base di esso piano i Comandi di settore, in collaborazione coi consulenti tecnici compilano i rispettivi definitivi piani insurrezionali.
- Si stringono frequenti contatti con ufficiali inglesi e più specialmente con il Maggio inglese X, per concordare le modalità per il lancio di armi e munizioni alle formazioni patriottiche di Milano, foranee e di quelle della montagna, destinate ad affluire a Milano al momento dell’insurrezione.
Alla fine di Marzo il difficile, laborioso lavoro per l’effettuazione dell’insurrezione, può dirsi ultimato.
- Mese di Aprile 1945 :
Nel mese di Aprile e più specialmente durante la prima quindicina, serrato continua il lavoro per mettere a punto tutta l’organizzazione. Gli animi dei patrioti sono tesi. Dato l’incalzare degli avvenimenti, si attende il via del Comando Generale per l’assalto finale. Le vittoriose avanzate degli eserciti alleati sia ad est che ad ovest, l’offensiva alleata del sud, sulla frontiera italiana, con il conseguente sfondamento e dilagamento in direzione nord attraverso la pianura padana; la crescente demoralizzazione e disorganizzazione nelle file tedesche, il panico dei fascisti e le numerose diserzioni nelle file delle forze armate repubblicane, creano l’atmosfera necessaria per la massima intensificazione dell’attività dei patrioti, sino a sfociare nella giornata del 25 Aprile, nella travolgente fase insurrezionale che vide i patrioti della città di Milano in vittoriosa ed accanita lotta contro le residue resistenze nazi-fasciste, fino al loro annientamento ed alla loro resa totale.
Nel successivo giorno 26 Aprile Milano “libera”, era già nelle mani dei patrioti milanesi, mentre convergevano sulla città le vittoriose formazioni della provincia e della montagna.”
ELENCO dei cambi di residenza e di abitazione effettuati dal Generale di Divisione Giuseppe Bellocchio, durante la vita clandestina sul fronte della resistenza.
Allegato 2
ELENCO Degli ufficiali che hanno avuto compiti operativi presso il Comando Piazza dio Milano nel periodo precedente e durante la fase insurrezionale.
(Partigiani – Liberazione di Milano)
(Liberazione di Milano)
(Partigiani Divisione Val Toce)
(Partigiani sfilano per le strade di Milano)
(Comizio di Sandro Pertini a Milano 1945)
(Il Comando Generale CVL sfila a Milano nel maggio 1945 – 3° da sinistra Ferruccio Parri, 5° Luigi Longo)
25 Aprile 1045 Liberazione di Milano
Sandro Pertini racconta l'incontro con Mussolini (25 aprile 1945)
Perché l’azione insurrezionale in Milano si possa attuare, occorre:
a) conoscere la situazione nemica in atto e la sua evoluzione nei minuti particolari;
b)avere le forze insurrezionali della città alla mano, attraverso quadri tecnicamente capaci,devoti, audaci, decisi;
c)disporre nelle misura massima possibile delle forze dei dintorni di Milano e di qualche formazione, tra le più agguerrite, della montagna;
d)che la disciplina sia in tutti effettiva ed assoluta. Anche se necessità contingenti impongono la costituzione del comando multiplo, nell’azione militare uno solo deve comandare: il più degno e capace. Man mano si scende nella scala dei reparti, il comando deve essere unificato. Nessuna divergenza politica;
e)che la sorpresa sia ricercata e curata come il fattore decisivo per eccellenza;
f)che l’entusiasmo e la capacità operativa dei gregari supplisca, nell’azione, l’eventuale deficienza di armi e di mezzi;
g)che l’ambiente sia curato e preparato con una sana attiva propaganda al fine di ottenere una larga partecipazione delle masse all’azione;
h)che venga fin d’ora incrementata una efficace azione di guerriglia sabotaggio e disturbo.
2° - MOMENTO DELL’AZIONE
Il definirlo è pretta azione di comando. Esso è in relazione:
- alla situazione strategica in atto;
- alle forze disponibili.
La situazione strategica più attendibile nella quale verrà, presumibilmente, ad inquadrarsi l’azione insurrezionale di Milano può così concretarsi:
- piena riuscita dell’offensiva delle Armate A.A. sul fronte Appenninico, con conseguente invasione della pianura Padana da sud verso nord;
- ripiegamento, presumibilmente ordinato, delle forze tedesche dall’arco Genova-Rimini in direzione nord e nord-est, sfruttando l’intero fascio delle comunicazioni principale e secondarie;
- ripiegamento delle forze nazifasciste dalla frontiera Alpina in direzione est e nord-est, svolto presumibilmente con celerità, allo scopo di sottrarsi ai prevedibili attacchi sui fianchi ed all’accerchiamento da parte delle formazioni patriottiche e, forse anche, dalle truppe A.A.
Per la sua posizione Milano:
- resta fuori dall’insieme delle grandi direttrici di ripiegamento che da sud verso nord adducono alla frontiera Italo-Tedesca;
- è attraversata invece dalle principali direttrici di ripiegamento da ovest verso est.
Si può quindi prevedere:
- da parte Alleata: il tentativo di attraversare celermente la pianura Padana sia verso nord, sia diagonalmente in direzione di Milano, Ticino, lago Maggiore;
- da parte tedesca: la costituzione di forti blocchi di retroguardia sul Po e più a nord (a Pavia e Lodi per quanto riguarda Milano) e sul Ticino, con compito di resistenza fino ad avvenuto deflusso delle forze nazifasciste provenienti dalla frontiera francese.
Da quanto precede si può dedurre che il piano insurrezionale per la liberazione di Milano potrà avere le maggiori possibilità di riuscita se esso verrà attuato, nella sua fase intensa, solo quando le truppe Alleate avranno saldamente occupato Pavia e Lodi e puntino decisamente su Milano.
L’anticipare il momento dell’azione significa tentare di colpire il nemico quando è ancora in piena efficienza e deciso alla lotta; significa esporre la cittadinanza a feroci ed inutili rappresaglie; significa infine condannare l’azione all’insuccesso.
Bisogna saper attendere senza impazienza, perfezionando nel frattempo il lavoro di organizzazione. Una volta decisa l’azione, questa deve scoppiare improvvisa, decisa, violenta.
D’altro canto, ritardare più oltre l’azione, potrebbe significare non fare l’azione stessa.
PARTE PRIMA
SCOPO
Ci proponiamo di:
a) intralciare il ripiegamento dalla città di Milano delle truppe nazifasciste apportando loro, con tutti i mezzi, il massimo possibile di perdite e danni;
b) distruggere, o quanto meno, immobilizzare le forze nazifasciste fermatesi nella città con il compito di resistenza ad oltranza;
c) occupare militarmente gli enti militari, politici, amministrativi, attuando quanto necessario per il loro rapido adeguamento alle necessità dei patrioti e della popolazione;
d) garantire la sicurezza e l’ordine della città, provvedendo al tempestivo fermo o alla eliminazione degli elementi antifascisti;
e) occupare, proteggere e difendere il patrimonio industriale, i grossi complessi commerciali e le opere d’arte essenziali per il movimento e funzionamento dei servizi cittadini.
SITUAZIONE NEMICA
La situazione nemica, nella città di Milano, può concretarsi in uno dei seguenti casi:
Caso A: Limitate aliquote di forze tedesche occupano alcuni quartieri della città di Milano per la protezione delle vie di ripiegamento; le forze fasciste collaborano e presidiano determinati capisaldi.
Si può ritenere questo il caso più probabile.
Caso B: Consistenti forze tedesche affiancate dalle forze fasciste mantengono saldamente l’occupazione della città, difendendola ad oltranza.
Si può ritenere caso poco probabile, data anche la posizione eccentrica della città rispetto alle principali vie di ripiegamento tedesche.
Caso C: Tutte le forze naziste ripiegano; forze fasciste di una certa consistenza restano in posto costituendo centri di resistenza in determinati capisaldi.
Il presente piano considera, più specialmente, la situazione nemica riferita al caso A, ritenuto il più probabile.
D’altra parte, con lo studio e l’organizzazione di questo caso, sarà facile, ove occorra, passare automaticamente alla attuazione dei casi B e C per i quali, nella parte 2^ del presente piano, vengono date succinte norme e direttive integrative.
CONCETTO D’AZIONE
E’ nostro intendimento svolgere l’azione insurrezionale di Milano in due fasi:
- fase pre-insurrezionale
- fase insurrezionale.
La fase pre-insurrezionale (già in atto) comprende:
a) una intensificazione gradualmente crescente dell’attività di guerriglia e sabotaggio nei settori di Milano e zone periferiche, fino a compiere azioni a largo raggio, con l’impiego coordinato o contemporaneo di più unità.
b) l’attivazione di una intensa propaganda tendente a deprimere il morale del nemico ed a galvanizzare le nostre masse popolari.
La fase insurrezionale ha inizio su ordine del comando Piazza. In tale fase occorre:
a) lanciare con la maggiore celerità possibile forti pattuglioni alla conquista di predesignati obiettivi eliminando, con rapida azione, i nazifascisti che li presidiano;
b) isolare e neutralizzare quegli obiettivi che presentassero forti possibilità di difesa;
c) costituire, ove possibile, nell’interno di ciascun settore un proprio centro di resistenza organizzandolo a caposaldo;
d) tenere a propria disposizione in ogni settore la maggior quantità possibile di forze sia per rinforzare l’azione di cui alle precedenti lettere a) e b), sia per provvedere tempestivamente a nuove esigenze;
e) concentrare ai margini di Milano le forze foranee, la divisione(correzione a penna Marat, Greppi) e Pasubio e alcune formazioni partigiane della montagna con i seguenti compiti:
- sostenere e rinforzare l’azione delle forze settoriali di città;
- intralciare con ogni mezzo la manovra di ripiegamento tedesca;
- collegarsi sulle più probabili direttrici di avanzata con le truppe alleate A.A.;
f) istituire posti di blocco alla periferia della città, per impedire la fuori uscita di elementi sospetti, di automezzi, di armi e materiali vari.
RIPARTIZIONE DEL TERRITORIO
1° - La città di Milano viene ripartita secondo la giurisdizione mandamentale della Vigilanza urbana, nei seguenti nove settori operativi:
Settore Duomo
Sigla 0 centrale
Settore Garibaldi
Sigla 1 periferico
Settore Venezia
Sigla 2 periferico
Settore Vittoria
Sigla 3 periferico
Settore Vigentino
Sigla 4 periferico
Settore Ticinese
Sigla 5 periferico
Settore Magenta
Sigla 6 periferico
Settore Sempione
Sigla 7 periferico
Settore Sesto S.G.
Sigla 8 extra-urbano
FORZE DISPONIBILI – LORO RIPARTIZIONE
Per l’insurrezione nella città di Milano sono disponibili forze interne, foranee, formazioni della montagna, forze ausiliarie come da allegato 2 specchio riassuntivo A.
L’armamento, non ancora precisato con esattezza, risulta comunque di misura alquanto deficiente – specie quelle automatico pesante – per le forze interne, foranee ed ausiliarie. Per le forze partigiane della montagna invece, l’armamento si può considerare pressoché completo.
Siccome non è facile determinare, anche con una certa approssimazione le forze effettivamente disponibili e d’altra parte anche su quelle sicuramente conosciute è da prevedersi che al momento dell’azione non tutti potranno essere presenti, così nel procedere allo studio ed organizzazione del piano sarà bene che i comandi di settore, delle forze riportata nell’allegato 2 facciano assegnamento sul 30% circa delle forze interne o della città e sul 50% circa delle forze foranee o della provincia.
DISLOCAZIONE INIZIALE DELLE FORZE INTERNE E FORANEE
- la dislocazione iniziale per ogni settore delle forze interne;
- la zona di raccolta, le direttrici di movimento per l’avvicinamento alla periferia di Milano, nonché lo schieramento iniziale delle forze foranee, risultano dallo specchio allegato n. 3.
DIPENDENZE DEI COMANDI DELLE FORZE
1°- Nella fase pre-insurrezionale dipenderanno direttamente dal Comando della Piazza di Milano:
- i nove comandi di settore, ai quali fanno capo le rispettive forze interne raggruppate in brigate, distaccamenti e squadre
- i comandi unificati delle forze foranee, ai quali fanno capo le rispettive forze foranee
- le forze ausiliarie.
2° - Nella fase insurrezionale dipenderanno direttamente dal comando Piazza di Milano:
- i nove comandi di settore
- le formazioni partigiane della montagna partecipanti all’insurrezione
- le forze ausiliarie.
Le forze foranee invece, passeranno alle dipendenze dei comandi di settore nella cui giurisdizione dovranno operare man mano che affluiscono nel rispettivo territorio settoriale.
OBIETTIVI
Gli obiettivi si distinguono in:
- obiettivi di 1° piano: difesi da forze armate e la cui occupazione prevedibilmente richiede uno sforzo bellico;
- obiettivi di 2° piano: limitatamente difesi o non difesi, la cui occupazione rappresenta una utilità di ordine collettivo.
Di massima si possono classificare:
a) obiettivi di 1° piano: comandi tedeschi e fascisti, caserme, alberghi ed edifici organizzati a difesa, stabilimenti opifici e depositi militari, aeroporti, centrali di collegamento, abitazioni dei capi tedeschi e fascisti, stabilimenti di pena, campi di concentramento;
b) obiettivi di 2° piano: organizzazioni e stabilimenti logistici fascisti e tedeschi, uffici politici e amministrativi, stazioni ferroviarie, rimesse tranviarie, banche, sedi e tipografie di giornali, stabilimenti di pubblica utilità (luce, gas, acqua), Stipel, stabilimenti industriali, tribunali, uffici postali, grossi complessi commerciali ecc.
La sovraesposta classifica non è tassativa poiché, nel corso dell’azione, obiettivi classificati di 1° piano, potrebbero agli effetti dello sforzo bellico, presentarsi di 2° piano e viceversa.”
La fase pre-insurrezionale è in atto. Le attività da svolgersi – azioni di guerriglia, di sabotaggio e di disturbo – la designazione degli obiettivi da colpirsi, e le modalità di condotta delle azioni già sono state più volte precisate in precedenti ordini e disposizioni ai quali ci si richiama.
Occorre ora intensificare con un crescendo serrato tale attività sia in Milano sia nelle zone periferiche sino a compiere azioni a largo raggio con l’impiego coordinato e contemporaneo di più unità.
COMPITI NELLA FASE INSURREZIONALE
A – Comandi di settore: dovranno:
1) far svolgere le azioni fissate dal concetto d’azione per la fase insurrezionale (lettere a) b) e c) secondo un piano concreto studiato e redatto da ogni comando di settore per il proprio territorio e precisamente:
- lanciare con la maggiore celerità possibile forti pattuglioni alla conquista di predesignati obiettivi eliminando, con rapida azione, i nazifascisti che li presidiano;
- isolare e neutralizzare quegli obiettivi che presentassero forti possibilità di difesa;
- costituire ove possibile, nell’interno di ciascun settore un proprio centro di resistenza organizzandolo a caposaldo;
2) affidare alle forze foranee, (comprese in esse le due brigate garibaldine provenienti da Sesto S.G. ed assegnate al settore Vittoria) i compiti di cui al concetto d’azione lettera e) e precisamente:
- sostenere e rinforzare le azioni delle forze settoriali di città;
- intralciare con ogni mezzo la manovra di ripiegamento tedesco. Tale compito resta più specialmente affidato alle forze foranee concentrate nei settori Sempione e Venezia.
- collegarsi sulle più probabili direttrici d’avanzata con le truppe alleate A.A.. Tale compito resta più specialmente affidato alle forze foranee concentrate nel settore Vigentino.
3) costituire una riserva di settore per parare ad esigenze impreviste.
B) – Forze ausiliarie: agiranno alle dirette dipendenze del comando Piazza. In particolare:
1) le brigate Marat Greppi e Pasubio, schierandosi inizialmente nelle zone di Cernusco e Pioltello si porteranno con le loro forze a cavallo delle due rotabili Milano-Bergamo; Milano-Brescia e daranno battaglia alle forze nazifasciste che tentassero fuggire da Milano in direzione est e nord-est.
Costituiranno poscia riserva generale a disposizione del Comando Piazza per azioni da svolgere nell’interno della città di Milano (vedi allegato N. 5);
2) La brigata Gerolamo provvederà:
- alla difesa del comando Piazza di Milano, con una aliquota delle sue forze (vedi allegato N. 5);
- all’organizzazione di un corpo speciale di polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico (vedi allegati N. 5 e N. 6).
C) – Forze partigiane della montagna. Dovranno:
1) durante il periodo acuto della fase pre-insurrezionale, su ordine del comando Piazza - od anche di iniziativa se la situazione generale lo imponesse – avvicinarsi a Milano seguendo la direttrice di movimento della valle Olona secondo un piano di movimento studiato e concretato dal comando formazioni stesse;
2) concentrarsi inizialmente nella zona di Rho, schierandosi a sud-est di detta località, a cavallo del fascio di rotabili che da Milano adducono a Sesto Calende, Varese e Como. Dare battaglia alle forze nazifasciste che tentassero fuggire da Milano in direzione nord-est;
3) costituire poscia riserva generale a disposizione del comando Piazza per azioni da svolgere nell’interno della città di Milano (vedi allegato N. 5).
POSTI COMANDO
- Fase pre-insurrezionale: i posti comando sono occulti e cambiati frequentemente;
- fase insurrezionale: riserva di tempestive comunicazioni per la dislocazione del posto comando Piazza.
I comandi di settore, il comando forze partigiane della montagna ed i comandi delle forze ausiliarie comunicheranno il più rapidamente possibile al comando piazza i rispettivi posti comando prescelti ed eventuali successivi spostamenti.
COLLEGAMENTI
Nella fase pre-insurrezionale, i collegamenti tra il comando Piazza ed i comandi superiori e dipendenti sono assicurati a mezzo ufficiali di collegamento e staffette.
Nella fase insurrezionale:
a) tra il comando Piazza ed i comandi superiori:
-a mezzo radio (se possibile)
- a mezzo ufficiali di collegamento
b) tra il comando Piazza ed il comando formazioni partigiane della montagna:
- a mezzo radio (se possibile)
- a mezzo ufficiali di collegamento e staffette.
c) tra il comando Piazza ed i comandi di settore:
- a mezzo radio (se possibile)
- a mezzo rete telefonica urbana (quando possibile)
- a mezzo posti di corrispondenza ed ufficiali di collegamento.
d) tra il comando Piazza ed i comandi delle forze ausiliarie:
- a mezzo rete telefonica urbana (quando possibile)
- a mezzo posti di corrispondenza
- a mezzo ufficiali di collegamento e staffette.
SERVIZI
A) Servizio di Sanità:
Il servizio di sanità per la piazza di Milano funziona agli ordini di un Comitato direttivo costituito da un direttore di sanità responsabile, da un vicedirettore e da 4 aiutanti.
A capo di ogni settore sta un medico capo settore che ha l’obbligo di curare l’organizzazione e dirigere il servizio sanitario all’interno del proprio settore.
Ogni medico capo settore (coadiuvato da un proprio secondo, capace di sostituirlo in ogni momento) provvederà:
a) ad organizzare e segnalare al proprio comando di settore numero e dislocazione dei posti di primo soccorso e di ricovero stabiliti nell’interno del settore, attrezzandoli rapidamente con personale sanitario e mezzi necessari (all’uopo sfruttare attrezzature e personale sanitario già esistente nel settore: ospedali, case di cura, posti di soccorso, ambulatori comunali, delle mutue e privati; scuole, ospizi, collegi, case private; nonché il personale sanitario già in funzione, infermieri, crocerossine ecc.);
b) a prendere stretti contatti con il rispettivo comando di settore per rendere quanto più è possibile aderente il servizio sanitario alle previste operazioni. Farà perciò capo al comando del proprio settore per tutte le richieste di personale (porta feriti) e di mezzi di trasporto (possibilmente autoveicoli nel numero necessario presunto, dotati di carburante e conducenti).
La Direzione di sanità è pregata di emanare ai medici capi settore norme e disposizioni integrative di carattere tecnico.
B) Servizio di vettovagliamento
I comandi delle formazioni patriottiche dovranno assicurare, mediante depositi convenientemente dislocati, tre giornate di viveri per le rispettive formazioni.
In ogni settore si dovrà provvedere inoltre allo sfruttamento del personale, delle attrezzature e delle vettovaglie delle mense aziendali o comunali nonché dei magazzini, sussistenze e mense delle forze repubblicane.
C) Servizio armi e munizioni
Ogni comando settore curerà l’impianto di uno o più depositi di armi e munizioni, regolandone le modalità di prelevamento.
E’ dovere di tutti i combattenti segnalare magazzini e depositi nemici per la loro rapida occupazione ed utilizzazione.
D) Servizi trasporti
Ogni comando di settore dovrà provvedere:
a) all’impiego degli automezzi che sin d’ora fossero eventualmente accantonati;
b) al fermo degli autoveicoli in circolazione curando che fin dall’inizio dell’insurrezione nessun automezzo riesca ad allontanarsi da Milano;
c) alla designazione delle zone ove gli automezzi fermati debbano concentrarsi.
E) Servizio di polizia
Tutte le forze operanti nella città di Milano sono da considerarsi anche forze in servizio di polizia.
Il servizio di ordine pubblico sarà da esse più specialmente disimpegnato a situazione normalizzata.
Durante le operazioni di occupazione della città, per compiti mobili di polizia, funzionerà un corpo speciale di polizia agli ordini del maggiore Gerolamo, (affiancato da un commissario politico), il quale provvederà ad applicare, appena possibile, il progetto d’ordine pubblico concretato dal comando piazza(allegato N.6).
Il corpo speciale di polizia sarà costituito da:
- brigata speciale Gerolamo (su 300 ex carabinieri)
- brigata speciale Garibaldi (su 250 specializzati)
- brigata speciale Matteotti (su 200 specializzati)
- brigata speciale C.L. (su 150 specializzati)
- brigata speciale Risor.to (su 100 specializzati)
- brigata speciale del Popolo (su 100 specializzati)
- brigata speciale Mazzini (su 100 specializzati)
Totale 1200
Di massima, le pattuglie d’ordine pubblico che verranno impiegate, dovranno essere miste, cioè composte da elementi di tutte le brigate speciali. Gli ex-carabinieri rappresenteranno, nell’interno di ciascuna pattuglia, gli elementi tecnici di servizio.
Il maggiore Gerolamo, affiancato da un commissario politico, allorchè la situazione sarà in via di sistemazione, prenderà contatti ed accordi sia col Prefetto, sia col Questore di Milano, che si ritiene saranno nel frattempo insediati, per la migliore utilizzazione del corpo speciale di polizia.
A cura del comando Piazza saranno stampate e fatte affiggere le prescrizioni di massima per il contegno della cittadinanza durante il periodo dell’insurrezione (vedi allegato N. 7).
F) Tribunali straordinari
Nella città di Milano funzioneranno tribunali straordinari (uno per settore) incaricati di giudicare i traditori fascisti e tutti coloro che approfittando del periodo di emergenza, commettessero atti di delinquenza o comunque turbassero l’ordine pubblico. La costituzione ed il funzionamento dei tribunali vengono precisati in norme e disposizioni a parte. “
(Mialno – barricate)
(Partigiani nelle strade di Milano)
(Insurrezione Milano 1945)
(Alba della libertà – Milano 1945)
(Ettore Giovannini – carabiniere comandante della Brigata Gerolamo)
La battaglia di Milano 2^ parte
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
“PARTE SECONDA
DIRETTIVE PER I CASI B e C
1) Caso B: “Consistenti forze tedesche affiancate dalle forze fasciste mantengono saldamente la città di Milano, difendendola ad oltranza”
Verificandosi tal caso non è possibile attuare una vera e propria insurrezione, non disponendo di forze e mezzi all’uopo necessari.
Per contro le azioni di guerriglia, sabotaggio e disturbo previste per la fase pre-insurrezionale dovranno essere intensificate al massimo e tendere ad indebolire la capacità di resistenza del nemico colpendolo nelle vie di rifornimento, interrompendo i collegamenti, distruggendo depositi, aggredendo combattenti isolati od a piccoli gruppi, disturbando il funzionamento dei servizi.
Le azioni di retrovia, dovranno essere sviluppate principalmente nei settori ove le forze degli alleati, che nel frattempo avranno investita la città di Milano, tenderanno al conseguimento dello sfondamento.
I comandi di settore dovranno inoltre tutto predisporre per il pronto intervento delle loro forze in concorso alle azioni decisive sviluppate dagli alleati e quando palesi segni di disgregazione nelle forze nemiche consentano di poterle colpire nelle migliori condizioni.
2) Caso C: “Tutte le forze naziste ripiegano; restano in posto forze fasciste di una certa consistenza, con l’incarico di costituire centri di resistenza in determinati capisaldi e condurre nel contempo azioni di guerriglia e sabotaggio”
Si procederà all’occupazione degli obiettivi previsti dai comandi di settore per il caso A eliminando o neutralizzando le resistenze opposte dalle forze fasciste.
Siccome la situazione prevista per il caso C può verificarsi improvvisa, i comandi di settore, su ordine del comando piazza, faranno entrare immediatamente e con la massima energia in azione le rispettive formazioni del Corpo Volontari della Libertà.
Circa gli scopi, concetto e modalità d’azione, forze disponibili, loro ripartizione e loro impiego, posti comando, collegamenti, funzionamento dei servizi compreso quello di polizia, vale quanto detto nel presente piano per il caso A.
Unica variante: acceleramento dei tempi nello svolgimento della fase esecutiva.
In particolare, per quanto riguarda gli obiettivi di 1° e 2° piano si precisa quanto segue:
- procedere alla rapida occupazione di quegli obiettivi che non offrono resistenza alcuna o ne offrono poca, presidiandoli;
- per quelli invece che opponessero seria resistenza sarà sufficiente provvedere al loro blocco. Si procederà alla loro eliminazione, quando si potrà disporre di mezzi idonei allo scopo.
PARTE TERZA
NORME E DISPOSIZIONI PER L’ORGANIZZAZIONE ED ATTUAZIONE
DELL’INSURREZIONE
1 – MOBILITAZIONE ED ENTRATA IN AZIONE DELLE FORZE
Avrà luogo su ordine del comando piazza.
Compete ai comandi di settore assumere subito direzione e responsabilità del movimento di raccolta e radunata delle rispettive formazioni.
Nei limiti del possibile sarà conveniente che l’adunata si effettui a gruppi nelle località previste quali basi di partenza per l’entrata in azione.
2 – DISTRIBUZIONE ARMI
Vi provvederanno i comandi di settore non appena indetta la mobilitazione. Sarà provveduto nel corso dell’azione alla rapida utilizzazione delle armi tolte al nemico o, comunque, ricuperate.
3 – RICONOSCIMENTO DEL PERSONALE
Il comando piazza, a mezzo dei rappresentanti delle varie formazioni patriottiche, provvederà alla tempestiva assegnazione, ad ogni comando di settore, dei bracciali di riconoscimento per gli iscritti di ogni formazione.
Il personale di ogni comando settore avrà, dal comando piazza, lettere personali di investitura con gradi e cariche. Analogamente dovrà regolarsi ogni comando di settore per i quadri dipendenti.
Il personale del comando piazza, riceverà analoga investitura dal comando Generale.
La distribuzione di quanto sopra, dovrà effettuarsi non appena indetta la mobilitazione.
4 - IMPIEGO DELLE FORZE – ISOLAMENTO COMANDI E CASERME NAZIFASCISTE – ORGANIZZAZIONE CAPISALDI
a) Ripartizione ed impiego delle forze:
Ogni comando di settore deve sin d’ora:
- sulla base dei compiti da svolgere provvedere alla ripartizione delle proprie forze in gruppi. Ogni gruppo potrà, di massima, essere costituito da un pattuglione di forza variabile (in generale dai 20 ai 100 u.) a seconda dell’entità dell’obiettivo da attaccare. Per ogni obiettivo destinare di massima un pattuglione, precisando le modalità di condotta dell’azione da svolgere. Affidare il comando dei pattuglioni a capi decisi ed energici;
- si dovranno assaltare ed occupare quegli obiettivi che offrono minore resistenza; bloccare e sorvegliare invece quelli decisi alla resistenza. Il crollo di questi ultimi, sarà determinato dall’intervento di mezzi più potenti di quelli di cui possiamo noi ora disporre;
- tenere alla mano il maggior numero di forze (riserve di settore) per intervenire a favore dei pattuglioni più duramente impegnati e per parare all’imprevisto.
b) Isolamento comandi e caserme nazifasciste
Ogni comando di settore deve sin d’ora:
- riconoscere esattamente località e modalità di interruzione delle linee telegrafoniche che adducono a comandi e caserme nazifasciste;
- definire ed approntare il personale specializzato destinato a compiere le interruzioni, fornendolo dei materiali necessari;
- stabilire nei particolari la riunione dei nuclei specializzati a piè d’opera e l’opportuna protezione durante il lavoro con nuclei armati debitamente appostati;
- predisporre l’impiego degli stessi nuclei per l’eventuale riattivazione di tutte o parte delle linee giaà interrotte.
c) Organizzazione capisaldi
Ogni caposaldo organizzato a difesa, deve rispondere ai seguenti principali requisiti:
- consentire un’efficace azione di fuoco contro forze nemiche che le attaccassero;
- consentire un facile collegamento con le forze partigiane esterne;
- consentire un facile afflusso e deflusso delle forze destinate a presidiarlo;
- disporre, possibilmente di forti quantitativi di materiali di rafforzamento di depositi viveri, armi, munizioni.
Per ogni caposaldo, ogni comando di settore deve:
- definire contorni e provvedimenti difensivi interni e periferici;
- stabilire l’entità delle forze e delle armi pesanti che le debbono presidiare;
- assicurare il collegamento con il proprio comando di settore e con gli eventuali capisaldi laterali;
- stabilire le modalità di ripiegamento su eventuali altri capisaldi o su posizioni retrostanti;
- indicare il carattere di contingenza o di resistenza ad oltranza del caposaldo.
5 – AZIONI DI SABOTAGGIO, DI GUERRIGLIA E DISTURBO
Ogni comando di settore deve:
- studiare le azioni da svolgere;
- definire le forze ed i mezzi occorrenti per ogni azione;
- prescegliere i comandanti, concordando con essi modalità e momento della azione;
- stabilire modalità per i collegamenti, per il vettovagliamento e per il servizio sanitario.
6 – CONCENTRAZIONE PRIGIONIERI
Ogni comando di settore deve:
- predisporre località per il concentramento dei nazifascisti e spie catturate;
- definire le modalità per la loro custodia.
7 – POSTI DI BLOCCO
La loro costituzione è compito dei comandi di settore dai quali direttamente dipendono. Hanno più specialmente lo scopo di inibire il movimento dall’interno della città all’esterno e viceversa; degli elementi avversari. Debbono essere collocati sulle principali rotabili, possibilmente all’altezza della cinta daziaria. La zona compresa tra i posti di blocco, deve essere sorvegliata con servizio di pattuglia.
Ogni comando di settore deve:
- stabilire numero forza ed armi di ogni posto di blocco;
- stabilire forza ed itinerari di ogni pattuglia incaricata della sorveglianza della zona compresa fra i posti di blocco;
- definire le consegne particolari per ogni posto di blocco;
- collegarsi, possibilmente a mezzo telefono, con i posti di blocco dipendenti, o quanto meno con staffette;
- tenere pronti reparti, possibilmente autocarrati, da inviare a sostegno di posti di blocco, eventualmente minacciati da forze soverchianti.”
(Nel testo seguono gli allegati dettagliati e minuziosi ben riassunti ed illustrati negli Approfondimenti dai giornalisti del Corriere della Sera nel 2017. )
“Saputo che la sua presenza era stata segnalata alle autorità nazi-fasciste piacentine rientrò a Milano, tenuto conto che in una grande città era forse più facile vivere in clandestinità e non essere vittima di spie. A Milano si inserì così organicamente nel gruppo miltare di resistenza al nazifascismo guidato dai generali Bortolo Zambon e Giuseppe Robolotti, in rapporti di collaborazione con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia che si era nel frattempo costitutito e operava clandestinamente. Quei due generali il 25 maggio del ’44 furono però arrestati dalle milizie di Mussolini, Robolotti fu deportato nel campo di concentramento di Fossoli in provincia di Modena e lì fucilato, mentre Zambon riuscirà invece più avanti a salvarsi evadendo dalla prigione di San Vittore con l’aiuto di complicità interne.
Bellocchio, generale di Divisione, venne così ad essere l’ufficiale più alto in grado del gruppo militare milanese e quando ai primi di giugno gli esponenti dei diversi partiti politici antifascisti che componevano il CLN Alta Italia, al fine di dare una direzione unitaria alle diverse formazioni partigiane che si erano andate sviluppando nel Nord e centro Italia, decisero di dare forma al Corpo Volontari della Libertà e di nominarne il Comando Generale chiesero a lui di entrare a farne parte come esperto militare: Bellocchio vi assunse il nome partigiano di Giuseppe Comaschi.
Tale comando era composto da lui e da un rappresentante per ognuno dei cinque partiti antifascisti, il Partito d’azione, il Partito comunista, la Democrazia Cristiana, il Partito socialista e il Partito liberale, ma al suo interno operava un vertice di tre membri:
il generale Bellocchio appunto,
l’azionista Ferruccio Parri, che nel giugno del 1945 diventerà il primo Capo del governo dell’Italia liberata,
e Luigi Longo, vice segretario allora del Partito comunista e capo delle Brigate Garibaldi.
Bellocchio era di sentimenti monarchici, si può dire che era entrato nella Resistenza per fedeltà al giuramento fatto al re Vittorio Emanuele III. In concreto, rispetto ai diversi partiti antifascisti che fino da allora in qualche misura erano in concorrenza fra di loro e che anche nel movimento partigiano cercavano di rafforzare le rispettive posizioni, Bellocchio costituiva una figura indipendente e gli fu riconosciuto che si comportava con imparzialità nei confronti delle diverse componenti partitiche.
Naturalmente le funzioni svolte da quel Comando Generale del CVL non erano uguali a quelle del Comando supremo di un esercito, quel comando non era in condizione di pianificare la gran parte delle azioni militari contro i nemici e di esercitare una indiscutibile autorità di comando sulle diverse formazioni partigiane diffuse nel territorio italiano. In realtà ogni formazione partigiana decideva autonomamente le proprie azioni in relazioni alle condizioni locali, andando all’attacco delle forze e posizioni nazifasciste se intravvedeva possibilità di successo, o rispondendo agli attacchi di queste.
Inoltre il movimento partigiano rimaneva suddiviso in Brigate Garibaldi, sulle quali esercitava influenza il Partito comunista, in Brigate Giustizia e Libertà che facevano riferimento ad esponenti del Partito d’azione, nonché in altri raggruppamenti, quali Le Fiamme Verdi e le brigate Matteotti. Il Comando Generale del CVL provvide però a suddividere il territorio italiano a presenza partigiana in Zone corrispondenti in larga misura alla provincie:la provincia di Piacenza, meno l’alta Val Trebbia e l’annessa Val d’Aveto, divenne ad esempio la XIII Zona partigiana.
Provvide poi a nominare, d’intesa con i CLN provinciali, i Comandanti di Zona:
(Emilio Canzi)
Emilio Canzi ad esempio divenne comandate in capo della nostra XIII zona su nomina del Comando Generale del CVL. Tale comando gestiva poi un servizio informativo riguardante sia la consistenza e le azioni delle formazioni partigiane che la consistenza e presenza delle forze fasciste e tedesche, e provvedeva ad informare le formazioni partigiane dei movimenti e programmi di rastrellamento dei nazi-fascisti. Unitamente al CLN il Comando militare teneva i rapporti con le forze alleate anglo-americane e ne sollecitava i lanci aerei, di armi, munizioni ed altre forniture. Inoltre il Comando Generale del CVL forniva naturalmente orientamenti ed indicazioni alle formazioni partigiane sui comportamenti da tenere e in determinati momenti, quali i grandi rastrellamenti nazi-fascisti, cerava di coordinare le azioni di più Zone partigiane.
Il Comando, ricorda Bellocchio nella relazione che ho citata, teneva ogni settimana una riunione plenaria ed il suo vertice a tre oltre ad un’altra riunione o due. Per non farsi scoprire erano costretti periodicamente a cambiare sede di riunione e anche Bellocchio personalmente nella sua permanenza a Milano dal marzo ’44 all’aprile ’45 cambiò ben otto diverse case di abitazione, per un mese trovò rifugio presso l’Ospedale Niguarda.
Per fortuna esiteva anche a Milano una diffusa di solidarietà antifascista. Teniamo presente che se non si fosse unito alla Resistenza, Bellocchio, data la sua età, evrebbe potuto rirtirarsi a vivere senza rischi nella sua casa di Bobbio.
Durante quell’estate del ’44 crebbe la diffusione e la consistenza del movimento partigiano ed il suo contributo alla lotta non solo contro il regime fascista di Salò ma anche contro le forze militari tedesche di occupazione. Se ne accorsero anche i comandi dell’esercito anglo-americano e ne prese atto il legittimo governo italiano che, dopo la liberazione di Roma nel giugno del ’44, tornò ad insediarsi nella capitale d’Italia con la presidenza di Ivanoe Bonomi, mentre il re Vittorio Emanule III aveva ceduto la luogotenenza al figlio Umberto.
Alleati e governo italiano si dichiarano allora disponibili ad aiutare maggiormente il movimento partigiano, il primo con armi e munizioni, il secondo con una dotazioni di mezzi finanziari, a condizione di avere un uomo di loro fiducia al vertice del Comando generale del CVL. Per tale vertice designarono il generale Raffaele Cadorna, che proveniva dalla famosa dinastia militare dei Cadorna e che a capo della Divisione corazzata Ariete il 9 settembre ’43 aveva cercato di difendere Roma dall’occupazione tedesca.
(gen. Raffaele Cadorna)
Il CLN AI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) dopo varie discussioni accettò, il Cadorna venne paracadutato in Val Camonica ed il 6 settembre del ’44 s’insediò a capo del Comando Militare del CVL(Corpo Volontari della Libertà), sostituendovi il generale Bellocchio. Che non gradì l’operazione ma rimase a disposizione del movimento partigiano e accettò l’incarico di Capo del Comando Piazza di Milano.
Il Comando Piazza, in quella che era la capitale della Resistenza, aveva la responsabilità di dirigere o comunque coordinare le formazioni e le azioni dei partigiani a Milano e nella provincia e di predisporre il piano per l’insurrezione e la liberazione della città. Anche questo Comando, con al vertice Bellocchio, era composto da esponenti designanti da ognuno dei partiti politici antifascisti, esponenti che variarono nel tempo e ai quali facevano capo le diverse funzioni, quali vice-comandante, capo ufficio operazioni, capo servizio informazioni, nonché la funzione di commissario politico che fu sempre rivestita da esponenti comunisti.
Il Comando durante la sua vita, cioè fino alla fine dell’aprile ’45, potè successivamente avvalersi, in particolare per la predisposizione del Piano insurrezionale, anche del contributo di diversi ex ufficiali dell’esercito: Bellocchio nella sua relazione ne elenca nominativamente diciotto, fra cui diversi colonnelli. Gli aderenti attivi alla Resistenza nel settembre ’44 a Milano furono calcolati in 7.700 e in 3.700 quelli nel restante territorio della provincia, che comprendeva la Brianza, Monza e il lodigiano fino al confine con la provincia di Piacenza. Vennero calcolati complessivamente in quasi 30.000 nell’aprile del ’45, probabilmente esagerando, tenuto conto che molti partigiani dell’area milanese avevano raggiunto ed erano inseriti nelle formazione partigiane della montagna, compreso quelle piacentine.
Naturalmente le azioni partigiane a Milano e nel circondario erano diverse da quelle praticate in territori appenninici come quello nostro, anche se non meno rischiose. Consistevano in sabotaggi, nella sottrazione di armi ai nemici, in attentati ed altri atti dimostrativi per intimorirli e renderli insicuri, realizzati in genere nelle ore notturne.
Gli aderenti alla Resistenza a Milano erano organizzati in parte nei GAP , (Gruppi di Azione Patriottica) costituiti ognuno da pochissimi membri che compivano le azioni più pericolose e vivevano in clandestinità, nelle cosiddette Brigate mobili e nelle SAP (Squadre di Azione Patriottica), queste a larga composizione, in maggioranza di operai che di giorno andavano regolarmente al lavoro nella propria fabbrica.
La funzione del Comando Piazza si realizzò in particolare nel suddividere l’organizzazione partigiana a Milano in nove Settori con i relativi comandi e con specifici compiti, nel dare loro direttive di azione, nel creare un sistema informativo e una rete di collegamento, nel tenere i rapporti con corpi ancora inseriti nell’organizzazione del regime di Salò ma disponibili a collaborare con la Resistenza in particolare al momento dell’insurrezione, vale a dire il Corpo della Guardia di Finanza, dei Vigili urbani e dei Vigili del Fuoco.
Il Comanda Piazza provvide anche a ripartire e a far avere ai diversi raggruppamenti partigiani le risorse finanziarie che dal dicembre del ’44 furono fornite dal Governo di Roma al movimento tramite il CLN AI che le suddivideva fra i Comandi di Zona e i Comandi di Piazza, risorse che servivano, oltre che all’acquisto di armi, alla sopravvivenza dei partigiani che vivevano alla macchia, riducendo la necessità di ricorrere a requisizioni fra la popolazione civile. Compito, come ho detto, del Comando Piazza fu inoltre quello di predisporre il Piano insurrezionale della città di Milano, di cui, per merito di Bellocchio e di Londei, si dispone tutt’ora di una copia originale depositata al Museo del Risorgimento di Milano.
La stesura ultima del piano consiste in 45 pagine dattiloscritte più una grande pianta di Milano con segnati i vari punti d’interesse.
(25 Aprile 1945 – Milano)
(25 Aprile – Milano)
(27 Aprile 1945 – Arresto di una spia)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
Il piano si proponeva di organizzare, dislocare ed utilizzare le forze partigiane in funzione dei seguenti obiettivi:
a - ostacolare il ripiegamento dalla città di Milano delle truppe nemiche, apportando loro più perdite possibili;
b - distruggere o almeno immobilizzare le forze nemiche che sarebbero rimaste nella città;
c - occupare le strutture militari della città e quelle amministrative per poterle subito utilizzare ai fini dei patrioti e della popolazione;
d - garantire l’ordine e la sicurezza in città, provvedendo alla eliminazione o al fermo degli elementi nazi-fascisti;
e - occupare e proteggere gli stabilimenti industriali, i grossi complessi commerciali, nonché proteggere le opere essenziali per il funzionamento dei servizi pubblici.
Coloro che hanno poi scritto la storia della Liberazione di Milano si sono chiesti se tale liberazione sia avvenuta secondo quanto indicato dal Piano insurrezionale o se invece questo abbia avuto una funzione assai limitata. Chi parla bene del Piano è Luigi Longo in ben nove pagine del suo libro “Un popolo alla macchia”. Altri hanno scritto che aveva una impostazione troppo tradizionale e militare, dando dettagliate indicazione operative mentre le insurrezioni popolari si sviluppano con una propria dinamica, non pianificabile. Il prof. Nuvolone sul numero di Archivium del 2005/2006 ha preso in considerazione e messo a confronto le diverse valutazioni e ne ha concluso che il Piano ha rappresentato in ogni caso un valido supporto informativo per le forze impegnate nelle liberazione della città, ne ha assicurato una utile dislocazione di partenza e ha promosso il concorso di quelle altre forze militari disponibili alla collaborazione con i partigiani, concorso che è stato fondamentale per assicurare rapidamente l’ordine e la sicurezza e la ripresa dei servizi pubblici.
Quanto alla personalità di Bellocchio ed al suo ruolo nel Comando Piazza, ci è stata trasmessa soprattutto la memoria di una sua difficoltà a destreggiarsi fra le posizioni politiche degli uomini che lo affiancavano nel Comando di Zona e dei suoi contrasti con il generale Cadorna che era diventato il suo diretto superiore. Raffaele Cadorna nelle sue memorie ha scritto:
“Anche nella Piazza di Milano era difficile conoscere la consistenza, la dislocazione e l’armamento delle forze clandestine. Convocammo più di una volta il generale Bellocchio ed il suo commissario politico per i chiarimenti del caso. Il bravo generale dava in escandescenze, incolpava l’anarchia dei partiti e le continue catture dei capi partigiani con conseguenti continue sostituzioni” .
Ma chi ha lascito una testimonianza più ampia su Bellocchio è Amerigo Clocchiatti che gli fu a fianco per alcuni mesi come commissario politico.
Nel suo libro di memorie ha scritto:
“Il Comando era diretto dal generale Bellocchio, piacentino di Bobbio, un uomo gigantesco, sanguigno, già avanti negli anni. Quante camminate con lui per Milano, quante conversazioni! Bellocchio si sfogava con me contro il generale Cadorna che lo aveva sostituito - diceva - senza meriti speciali, nel Comando Generale del CVL. Gli dovevo raccomandare continuamente di parlare più piano se non volevamo farci beccare, tanto si infiammava. Le due volte che Bellocchio ed io fummo chiamati a rapporto dal Comando generale del CVL, quelle riunioni si trasformarono in una diatriba furiosa fra i due generali. ll posto del generale Bellocchio - continua Clocchiatti - era ambitissimo e tutti facevano pressione su di me, tutti ne avevano uno migliore da mettere. Ma io lo difesi costantemente. Lui era monarchico ma si teneva al disopra di tutti i partiti.”
A Milano in particolare c’erano gli uomini del Partito d’Azione e del Partito socialista che rivendicavano un maggior peso negli organismi del movimento partigiano, mentre un comandante come Bellocchio che non s’intrometteva nei rapporti fra i partiti piaceva ai comunisti.
Un altro giudizio significativo su di lui è infatti quello espresso dal predecessore di Clocchiatti nell’incarico di commissario politico a fianco del generale, Italo Busetto, in una relazione in data 30 novembre ’44 di carattere riservato inviata a Longo quale capo delle Brigate Garibaldi e pubblicata in un volume di documenti relativi a quelle brigate. Scriveva Busetto:
“Il generale comandante la piazza è figura di ufficiale onesto, corretto, semplice, non troppo uso alle schermaglie dell’attività politica. Non riesce ad assimilare le norme cospirative. (Ad es.) è in rapporto con il vicequestore Mancini della polizia fascista, essendosi lasciato aggirare dalle dichiarazioni di antifascismo di costui. Lo abbiamo messo in guardia”.
Posso aggiungere che erano diverse a Milano i funzionari pubblici che tenevano in quei mesi il piede in due scarpe e peraltro va dato atto che quel vicequestore non ha tradito il generale Bellocchio.
Giungiamo cosi ai giorni della Liberazione quando il generale bobbiese incappò nelle vicenda che lo amareggiò molto ed influì sulle sue scelte successive in rapporto al movimento partigiano e alla stesso ambiente militare. Il Comando Piazza negli ultimi tempi teneva le sue riunioni via via in luoghi diversi. A conclusione di una riunione si fissava la data ed il luogo di quella successiva. Un’ultima riunione si tenne il 24 aprile all’aperto in Piazzale Susa, quando il CLN AI non aveva ancora diramato l’ordine d’insurrezione. Secondo quanto ha scritto Bellocchio a quella riunione non potè essere presente perchè colpito da un febbrone; non conosceva pertanto il luogo del successivo incontro del Comando fissato per il giorno dopo in un edificio di via Carlo Poma. Il giorno dopo, 25 aprile, avvenne la mobilitazione generale contro le forze nazifasciste e anche una serie di collegamenti fra reperti e comandi saltarono.
Quando il generale Cadorna raggiunse il Comando di Piazza nel previsto recapito di via Poma non vi trovò Bellocchio e gli si dissero che era irreperibile. Cadorna seduta stante colse l’occasione per rimuoverlo dall’incarico e sostituirlo. Nel Comando era previsto che in caso d’impedimento subentrasse nelle funzioni il vice-comandante vicario. Cadorna nominò invece al posto di Bellocchio il generale Emilio Faldella.
Qualche giorno dopo, a Liberazione avvenuta, si venne a sapere che il Faldella era sì rimasto in disparte dal regime di Salò, rifugiandosi però in Svizzera da cui era tornato a Milano soltanto appena prima della Liberazione. Inoltre aveva partecipato come “volontario” alla guerra civile spagnola a fianco dei franchisti e su quella guerra aveva poi scritto un libro elogiandone la partecipazione dell’Italia fascista. Fu il socialista Sandro Pertini in particolare ad elevare grandi proteste contro la sua nomina alla direzione del Comando Piazza e a chiederne la rimozione.
Si era nei primi giorni di maggio. Il quattro Cadorna aveva ricevuto da Roma la comunicazione che era stato nominato dal Governo Bonomi Capo di S. M. dell’esercito italiano che si andava ricostituendo in tutto il territorio nazionale. Nelle sue memorie riconosce che al Comando Piazza di Milano in quei giorni si profilava una spiacevole situazione in conseguenza della nomina del generale Faldella, ma per rimediarvi decise non di riportare il generale Bellocchio al suo posto ma invece di sciogliere il Comando Piazza. Questo scioglimento sarebbe comunque avvenuto più avanti, ma Cadorna ne anticipò i tempi. Credo che la decisione dello scioglimento sia stata presa o comunque comunicata in una riunione descritta da Agostino Covati, riunione dopo la quale Bellocchio infuriato lasciò subito Milano e tornò a Bobbio in compagnia di Covati stesso e di Italo Londei.
Cadorna invece andò a Roma a ricoprire la carica di capo del nuovo esercito italiano. Nel 1948 diventerà senatore nelle liste della Democrazia Cristiana e sarà rieletto nelle elezioni del ’53.”
(Gen. Bellocchio)
(Gen. Raffaele Cadorna)
(Corso Buenos Aires – 1945)
(Milano – Isurrezione e presa della città)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
..dal Corriere della Sera del 14 febbraio 2017
“Resistenza a Milano, così i partigiani prepararono l'insurrezione del '45
Una busta mai aperta nell'Ufficio storico dei carabinieri. Dentro il dossier datato febbraio 1945 che svela la mappa dell'insurrezione partigiana per liberare Milano: covi, mense, contraerea e centri militari nazifascisti
di Andrea Galli
(Partigiani in piazza Castello dopo la Liberazione)
Il Corriere ha letto il dossier, conservato in una grande, pesante busta ingiallita nell'Ufficio storico dei carabinieri, aperta adesso per la prima volta oltre settant'anni dopo e all'epoca consegnata ai propri vertici dagli ufficiali dell'Arma che, insieme agli altri partigiani (le Brigate Garibaldi, Matteotti, Mazzini...), organizzarono la liberazione della città culminata nel 25 aprile del 1945. La preparazione avvenne mesi prima e come conferma la data di questo «Piano generale per l'insurrezione di Milano» (che rappresenta il corpo centrale del dossier disvelato), essa fu definita il 15 febbraio di quell'anno. Con la scansione dettagliata delle fasi e delle modalità ; e soprattutto con l'elenco minuzioso degli obiettivi nazifascisti da assaltare.
Le Brigate in campo contro i nazifascisti
La città fu suddivisa in 9 «settori» di operazioni. La densità dei punti d'attacco necessitava di adeguati «soldati» e arsenali. I primi erano così ripartiti per settore (anche se parziali in quanto conteggiati a febbraio):
Duomo 2.022 unità ,
Garibaldi 558,
Venezia 1.209, Vittoria 1.120,
Vigentino 1.045,
Ticinese 813,
Magenta 1.647,
Sempione 1.579
e Sesto San Giovanni 1.902.
Quanto agli arsenali, il punto di partenza era preoccupante: «L'armamento è carente, specie quello automatico pesante, per le forze interne. Per le forze partigiane della montagna, invece, si può considerare completo». L'afflusso di rinforzi, dunque, sarebbe stato essenziale a condizione di essere puntuale e di incontrare un'inerzia iniziale nella battaglia favorevole ai partigiani. C'erano anche pronti, entusiasticamente convinti ad andare fino in fondo, «venti vigili e cinquanta pompieri»; i carabinieri, che ebbero decisivi ruoli nell'assalto alle caserme occupate, furono cinquecento; ai poliziotti sarebbe spettata la gestione dell'ordine pubblico nella città nel caos. Ma in ogni modo, al di là dei numeri, della «dotazione» e della forza complessiva, sarebbero stati essenziali i tempi.
Anticipata da una fase pre-insurrezionale (con un'intensificazione graduale della guerriglia e del sabotaggio e con un'intensa propaganda per «fiaccare il morale del nemico e galvanizzare le nostre masse popolari»), la fase insurrezionale prevedeva di «lanciare, con la massima celerità possibile, forti pattuglioni alla conquista degli obiettivi eliminando i nazifascisti che li presidiano». Ogni settore avrebbe avuto «tribunali straordinari» per «giudicare i traditori fascisti e tutti coloro che, approfittando del periodo di emergenza, commettessero atti di delinquenza».
Gli obiettivi erano di due tipologie: prima e seconda fascia. Nella prima c'erano «Comandi tedeschi e fascisti, caserme, alberghi ed edifici organizzati a difesa, depositi militari, aeroporti, centrali di collegamento, abitazioni dei capi tedeschi e fascisti...». Nella seconda c'erano «uffici politici e amministrativi, stazioni ferroviarie, rimesse tranviarie, banche, sedi e tipografie di giornali, uffici postali...». La «mappa» contemplava ulteriori e variegate voci: una postazione della radio tedesca in via Rovani, il deposito di benzina di via Adige 14, il magazzino generale dei viveri in via Delfico, il circolo-bar dei tedeschi in via San Paolo 8, la contraerea in piazza Bossi, il Comando delle prigioni militari in via Pellico, la mensa tedesca di via Meravigli e quella (esclusivamente per gli ufficiali) di via Domenichino 48, il distaccamento delle Brigate nere all'Arena, il magazzino per il vestiario dei soldati allo scalo Farini. Erano numerosi i centralini telefonici, da via Belfiore 13 a Via Novara 228, e le basi della Guardia nazionale repubblica (uno era in piazza Napoli 22). Dopodichè c'erano i covi e non sempre erano noti: uno, conosciuto, si trovava in via Paolo da Cannobio ma per scoprire quelli segreti bisogna insistere, si raccomandava il Comando, con indagini e attingendo alle spie che facevano il doppio gioco, ovvero frequentare i tedeschi (succedeva in alcune caserme) per carpire informazioni utili alla Resistenza.
Naturalmente, vista oggi, la liberazione di Milano pare una cosa ovvia che sarebbe comunque avvenuta. Ma nell'inverno del 1944 gli Alleati avevano parecchio faticato tra Ravenna e Bologna e le sorti conclusive dello scontro non erano affatto scontate. Allo stesso modo il «Piano generale per l'insurrezione», essendo la sintesi di una strategia militare, nulla concedeva alla fiducia in colpi di fortuna; ci si affidava ai fatti e alle eventualità da affrontare. L'eventualità , ad esempio, che i nazisti in rotta si sarebbero ritirati lasciando però in città «formazioni di fascisti di una certa consistenza, con l'intenzione di costituire centri di resistenza in determinati capisaldi». I partigiani si sarebbero gettati all'offensiva però i nemici controllavano molti edifici e potevano benissimo imbastire, perfino in una certa «sicurezza», una tattica attendista e contemporaneamente sferrare agguati a sorpresa cogliendo alle spalle i partigiani.
Al proposito, «siccome la situazione può verificarsi improvvisa» i Comandi di settore «faranno entrare immediatamente e con enorme energia le rispettive formazioni del Corpo volontari della libertà» per combattimenti corpo a corpo, metro per metro. Eppure, nel «rigore» della preparazione, i partigiani non nascondevano un lieve ottimismo convinti che avrebbero vinto raggiungendo tutti gli scopi.
Questi: «Apportare ai nazisti il massimo possibile di perdite e di danni, provvedere alla tempestiva eliminazione degli elementi fascisti, garantire la sicurezza e l'ordine proteggendo il patrimonio industriale, i grossi complessi commerciali, le opere d'arte e i centri essenziali per il movimento e per il funzionamento dei servizi cittadini».
(28 aprile 45 La folla in piazza Duomo ascolta il comizio tenuto da Ciro Moscatelli (con il cappello alpino) comandante dei partigiani della Valsesia)
(Comizio - Sandro Pertini)
(continua)
Alpini bobbiesi radicati nella Grande Storia.
(..segue Gen. Bellocchio)
Il ritorno a Bobbio
(Dalla relazione di Romano Repetti)
(Il gen. Bellocchio ad una adunata degli Alpini a Bobbio)
Bellocchio resterà fino alla morte, nel 1966, a vivere a Bobbio. Riceverà, come ufficiale della riserva, la nomina a Generale di Corpo d’Armata e quindi una buona pensione, ma gli rimarrà l’amarezza del torto subito. Anche Clocchiatti ricorda: “Dopo la guerra andai a trovarlo più volte a Bobbio: era amareggiato e sempre più protestatario contro tutti.” Chi lo aveva conosciuto durante gli anni di servizio nell’esercito italiano lo ricordava come un ufficiale molto comprensivo e disponibile nei confronti dei suoi soldati, dei suoi alpini, ma invece di rapporti difficili con gli altri comandanti.
Anche nel dopoguerra rimase di sentimenti monarchici e fu iscritto al Partito nazionale monarchico.
E nella campagna delle elezioni politiche del 1953, molto accesa dato che era stata approvata una legge elettorale maggioritaria, definita dagli oppositori, anche dai monarchici, “legge truffa”, perchè avrebbe assegnato il 65% dei parlamentari alla coalizione di partiti che raggiungesse anche solo il 50% più uno dei voti, Giuseppe Bellocchiò accettò di essere candidato nelle liste di quel partito monarchico, pur non avendo speranza di essere eletto.
Fra i suoi documenti si è conservato il testo del comizio con cui aprì la campagna elettorale a Bobbio e che poi utilizzò come base per i comizi in altri comuni. Un discorso in cui si difendeva dagli attacchi che da parte della DC e dal settimanale cattolico “Piacenza Nuovo” gli erano stati rivolti di provocare, con la sua candidatura, una dispersione di voti che sarebbe andata a vantaggio dei social-comunisti, in cui esponeva il programma del partito monarchico e criticava la legge maggioritaria che avrebbe distorto la rappresentanza dei cittadini a favore della DC e dei suoi alleati.
Viene riferito che Bellocchio rimase deluso dal risultato elettorale rispetto alla aspettative, in specifico nel comune di Bobbio. Naturalmente anche qui il voto si era orientato sui grandi partiti in competizione, dalla DC al Pci. Va detto tuttavia che negli anni cinquanta e primi anni sessanta proprio nel comune di Bobbio nelle elezioni politiche nazionali ed in quelle per l’Amministrazione provinciale il partito monarchico conseguiva una discreta percentuale di voti, segno che attorno a Bellocchio si era formata una cerchia di estimatori e di persone che sentivano un debito di riconoscenza nei suoi confronti.
Lui viveva con grande semplicità, facilmente si lasciava trascinare in forti discussione polemiche, partecipava ai raduni degli alpini ma disdegnava in genere i rapporti con gli “alti papaveri”. Non aveva aderito all’Anpi ma anche quando Enrico Mattei,
(Enrico Mattei)
che Bellocchio aveva conosciuto nel movimento partigiano a Milano, venne a Bobbio per promuovere un’associazione di ex partigiani alternativa all’Anpi, egli non solo non aderì a quella associazione ma tenne un atteggiamento distaccato anche nei confronti di Mattei.
Fra i documenti conservati nel suo fondo archivistico (le due cassette…) vi è anche una tessera d’iscrizione di Giuseppe Bellocchio alla Massoneria italiana, tessera del 1944. Si sa che negli alti gradi militari era diffusa questa adesione e rifiutarla poteva incidere negativamente nella carriera. Ricordo quella tessera perchè rende credibile una testimonianza che ho raccolto relativamente ad una ultima vicenda con cui il generale Bellocchio avrebbe avuto a che fare.
Un giorno, eravamo all’inizio degli anni sessanta (parlo naturalmente del secolo scorso), Bellocchio confidò ad un amico di essere appena tornato da Roma dove era stato invitato da qualcuno che lo conosceva e dove aveva avuto contatto con un certo ambiente di generali da cui ricevette la proposta di aderire anche lui a quella consorteria che aveva in programma di realizzare una specie di colpo di Stato per impedire che la politica italiana slittasse vero sinistra. “Io ho subito rifiutato - riferì Bellocchio all’amico - di quelle cose non ne voglio nemmeno sentir parlare”.
Orbene, i primi anni sessanta sono quelli della nascita delle prime maggioranze di centrosinistra, dell’ingresso del Psi nel governo. Si sa che nel 1962 per bloccare quel processo era stato predisposto il cosiddetto “Piano Solo” da parte di certi ambienti militari con al centro il generale De Lorenzo, capo del SIFAR, il servizio segreto informativo delle Forze Armate, e poi Comandante Generale dell’Arma dei carabinieri, iscritto ad un logga massonica composta in particolare da militari. Il Piano non fu attuato anche perchè, si disse - il PSI di Nenni moderò le sue richieste programmatiche. Venuta alla luce quella vicenda, De Lorenzo dovette abbandonare i suoi incarichi nelle Forze Armate ma fu eletto deputato nel 1968 per il partito monarchico e nel 1971 per il MSI.
Il generale Bellocchio era dunque si monarchico, si critico della vita politica italiana del dopoguerra, ma fedele ai valori di libertà e democrazia per le quali aveva rischiato la vita assieme ai partigiani che avevano idee politiche anche molto diverse dalle sue. E’ anche per l’adesione di una personalità come la sua, di un generale, di un moderato, di un monarchico, che la Resistenza e la lotta di Liberazione hanno avuto in Italia quel carattere di pluralismo unitario e di afflato morale per cui la stragrande maggioranza del Paese vi si è potuta riconoscere e il 25 aprile 1945 ha potuto aprire un capitolo nuovo nella storia del nostro Paese.
(Partigiani – Brigata Garibaldi Milano)
(Milano festeggia la Liberazione)
(Gli Sherman americani di fronte alla Prefettura in corso Monforte dove risiedeva Mussolini prima della fuga del 25 aprile)
La divisione nasce il 1º gennaio 1944 a Pavia, ma è mobilitata solamente il 15 febbraio dello stesso anno. La divisione, formata da circa 20.000 uomini, di cui il 20% provenienti dal Regio Esercito, viene costituita dai dirigenti della Repubblica Sociale per combattere in ambito montano a fianco dell'esercito tedesco. Per l'addestramento la divisione viene inviata in Germania per 6 mesi, dove gli uomini sono addestrati da istruttori tedeschi e armati con materiale proveniente dai magazzini della Wehrmacht. Nell'organico della divisione si contano anche 30 ausiliarie alpine, le prime nella storia del corpo.
Il 16 luglio dello stesso anno Benito Mussolini consegna la bandiera ai reggimenti, a Munsingen
In luglio, all'arrivo in Italia, viene posta sotto il comando del Corpo d'armata "Lombardia", nell'area ligure, per contrastare un eventuale sbarco delle forze alleate.
La Divisione alpina "Monterosa" non fu riconosciuta ufficialmente nei raduni degli ex-alpini; pertanto coloro che avevano combattuto unicamente in questa formazione, secondo l'ANA, non potevavo fregiarsi del titolo di alpini ma il 27 maggio 2001 l'Associazione Nazionale Alpini decise di annullare questa discriminazione di carattere soprattutto politico, approvando una delibera che andava in questo senso: "L'Assemblea dei Delegati, preso atto e confermata la validità di tutto quanto precedentemente deliberato in merito alla Divisione Monterosa e altri simili della Repubblica Sociale Italiana, dichiara e riconosce che tutti i giovani che hanno prestato servizio militare in un reparto Alpino, in qualsiasi momento della storia d'Italia, e quindi anche dal 1943 al 1945, poichè hanno adempiuto il comune dovere verso la patria, siano considerati Alpini d'Italia."
Alpini combattenti con i Partigiani
Una storia di Alpini e Partigiani
Il racconto che segue narra una storia vera. Quella del passaggio di un intero battaglione di Alpini della Monterosa - il Vestone, comandato dal maggiore Paroldo, reduce di Russia - alla lotta partigiana con la Divisione Cichero, la più importante formazione che operò in provincia di Genova nel contesto della Sesta zona di operazioni. Fin dai primi tempi, il comandante della formazione partigiana fu Aldo Gastaldi, con il nome di battaglia di Bisagno.
Il racconto è tratto dal libro di Giovanni Battista Canepa.
Qualche anno fa, dovendosi celebrare l'anniversario della Liberazione, un giornale genovese pubblicò una foto che rappresentava la «resa» ai partigiani di un battaglione della Divisione Monterosa, il Battaglione Vestone. Si intendeva in questo modo ricordare un episodio della lotta di Liberazione ormai passato nel dimenticatoio; eppure si tratta di uno degli episodi più significativi che coronava lunghi mesi di tenace ardimento e di continui rischi affrontati dai partigiani della Divisione Cichero per avvicinare i loro avversari e convincerli a lottare per la libertà del nostro paese.
E anzitutto devo precisare che non si trattò di «resa» ma del «passaggio» di un battaglione degli alpini nelle file dei partigiani: alpini che poi e fino alla fine delle ostilità , si batterono al nostro fianco, seminando coi corpi dei loro caduti il cammino che ci portò alla liberazione di Genova.
.. dopo il grande rastrellamento di agosto, il comando tedesco aveva affidato alla Monterosa il compito di presidiare la statale del Trebbia; e dunque due battaglioni si erano insediati a Torriglia e Bobbio, all'inizio cioè e al termine della strada che segue il corso del fiume; mentre il terzo, il
il Vestone, si stabiliva al centro della vallata, e precisamente a Gorreto, nel castello dei principi Centurione, già sede del comando della Cichero.
Intanto le formazioni garibaldine, ormai attestate sui monti e nei paesini “ Alpe, Fasce, Casanova “ che sovrastano il corso del Trebbia, con continue incursioni sulla strada, la rendevano insicura. In uno di questi colpi di mano dei partigiani, venne catturato l'attendente del maggiore Paroldo: un ufficiale di carriera che godeva di grande prestigio e che, dopo la disastrosa ritirata dalla Russia, era stato internato coi suoi uomini in un «lager» tedesco.
La gente di Gorreto, dapprima diffidente e ostile, aveva finito con l'intrattenersi volentieri con lui a parlare dei partigiani che avevano presidiato il paese e dei loro comandanti che s'erano fatti benvolere da tutta la popolazione: fu così che quando il suo attendente, di none Cattani, cadde prigioniero nelle nostre mani, gli venne facile farci sapere che era disposto a trattare il rilascio del suo attendente in cambio dei due partigiani caduti nelle sue mani.
La proposta era naturale che sollevasse dissensi perchè fino allora mai avevamo avuto contatti per operazioni del genere con le forze della repressione: lo stesso comando della Sesta zona, interpellato, espresse parere contrario alla proposta avanzata dal parroco del paese di farsi garante della riuscita dell'operazione di scambio.
Qui però era in gioco la vita di due partigiani che da un momento all'altro potevano essere tradotti a Genova dove li avrebbero fucilati, sicchè il comandante col commissario della Cichero furono d'accordo di non tener conto delle obiezioni e senz'altro fissarono la data dell'incontro.
Intanto il Cattani, affidato ad un distaccamento, non aveva tardato ad ambientarsi: il nuovo sistema di vita basato su di una disciplina che i partigiani si erano liberamente imposta, l'aveva profondamente colpito e ora chiedeva di far parte anche lui della nostra divisione: fu così che si decise che avrebbe seguito il commissario e si sarebbe tenuto in disparte, pronto ad accorrere se l'avessero chiamato.
Il maggiore si presentò nel punto convenuto, che era in una zona, nei pressi di Alpe, da dove si domina tutta la valle: era accompagnato dal suo aiutante, il tenente Ebner, triestino, e dal parroco di Gorreto; e subito tenne a precisare che si era deciso a quell'incontro unicamente per trattare la liberazione del suo attendente; in cambio era disposto a liberare i due partigiani prigionieri.
«D'accordo sul cambio» fece il commissario. «Nel caso per che il suo attendente volesse rimanere con noi...».
«Impossibile!» l'interruppe il maggiore. «Fatemelo vedere e che me lo dica lui».
A questo punto il Cattani balzò fuori dall'anfratto in cui si teneva nascosto e corse a gettarsi tra le sue braccia, ma quando sentì da lui che era venuto a liberarlo, senza esitazioni dichiarò di sentirsi già libero e ormai aveva scelto il suo posto sui monti, con i garibaldini.
Il maggiore lo fissava sbalordito, incapace di dire qualcosa: ma poi, improvvisamente reagì e, afferratolo per le braccia e scuotendolo, proruppe: Che t'hanno fatto, disgraziato? O ti hanno stregato...».
E il Cattani, senza scomporsi, sommessamente, ma con fermezza: «Mi hanno aperto gli occhi, signor maggiore, mi hanno aperto gli occhi...». Intanto si stava svincolando e poi a piccoli passi s'andava scostando.
Dal canto suo, il maggiore pareva che non riuscisse a capacitarsi di quanto era successo, e quando il commissario gli si fece accanto e prese a parlargli della guerra che, con lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, era ormai decisa e dunque che era assurdo combattere i partigiani, manco pareva ascoltarlo e continuava a scuotere la testa, in silenzio. Allora il commissario insistette: perchè ostinarsi a servire i tedeschi, farsi loro complice? Non si rendeva conto che la vera Italia era al fianco di quei «ribelli» che egli era costretto a combattere?
Si, forse se ne rendeva conto, ma era talmente sconvolto da non poter ribattere e pose senz'altro termine all'incontro. Prima però di andarsene dichiarò che i due partigiani sarebbero stati liberati in cambio di due prigionieri tedeschi. Ciò che infatti avvenne l'indomani stesso.
Fu anche in seguito a questo scambio che il comando della Cichero dispose che ogni attività militare venisse sospesa, e così per un paio di settimane in quella zona si verificò una strana intesa con gli alpini che sempre in maggior numero cercavano di raggiungere i nostri avamposti, chiedendo di voler combattere con noi; e i loro ufficiali se ne stavano quieti e tranquilli nel palazzo Centurione, senza osare allontanarsi, mentre noi ci guardavamo bene dall'attaccarli.
(Aldo Gastaldi "Bisagno", comandante della Divisione Cichero)
Finchè il comando tedesco si vide costretto a ritirare da Bobbio e da Gorreto i due battaglioni, l'Aosta e il Vestone, smistandoli a Torriglia e rinunciando così a presidiare la strada del Trebbia.
Al comando della Sesta zona tale decisione non mancò di suffragare la convinzione che la tattica perseguita dalla Cichero, quella cioè di aver sospeso l'attività militare per favorire la crisi del comando degli alpini, fosse stato un grosso errore. Convocò quindi il comandante e il suo commissario accusando duramente quest'ultimo di ingenuità , essendosi prestato al gioco del maggiore Paroldo che in questo modo aveva avuto la possibilità di sganciare le sue truppe senza subire ulteriori perdite.
Ma Bisagno, convinto com'era che la crisi degli alpini fosse stata provocata unicamente dalla convinzione che l'Italia per cui valeva la pena di combattere era quella dei partigiani, dichiarò di non poter rinunciare a un estremo tentativo. Si trattava di un'azione spericolata di cui lui stesso voleva incaricarsi: e cioè sarebbe sceso a Torriglia e, nella confusione provocata dall'afflusso dei due battaglioni alpini, avrebbe tentato di ristabilire un contatto col maggiore Paroldo.
Al comando della divisione per tre giorno non si ebbero più notizie del comandante: si sapeva soltanto che, di ritorno dalla riunione della Sesta zona, aveva voluto indossare la divisa di un alpino; e il commissario che gli era profondamente legato, ora viveva nell'angoscia, tra la pressione del comando di zona che insisteva di prendere un'iniziativa e il timore che qualsiasi cosa si facesse rischiava di compromettere l'esito della missione.
Finalmente dopo quattro giorni giunse la comunicazione che convocava il commissario a Costa Maggio, una località nelle vicinanze di Montebruno, in una piccola osteria a picco sul Trebbia: là poi il maggiore Paroldo e il suo aiutante Ebner si accordarono con Bisagno e il suo commissario perchè quella notte stessa il battaglione al completo, con armi e carriaggi, raggiungesse Gorreto unendosi alle nostre formazioni.
L'indomani, 4 novembre, il comando di zona poteva diramare il seguente messaggio che poi venne ritrasmesso dalla radio alleata:
«Stamane, 4 novembre, nell'anniversario dell'armistizio che nella Grande Guerra l'Italia ha imposto all'esercito austro-ungarico, il maggiore Paroldo col suo battaglione alpino Vestone è passato nelle file della Divisione garibaldina Cichero.
Gli alpini hanno così ritrovato la vera Italia, quella Italia che combatte sui nostri monti per la libertà .
Il comando della Sesta zona operativa saluta gli alpini del Vestone e plaude al loro gesto e alla ritrovata fraternità nel nome dell'Italia».
Alpini bobbiesi caduti nelle guerre 1915/1918 e 1940/1945
Agnelli
Medardo
Bobbio
1879
3° Rgt.Alpini
21/07/1915
Ferite riportate in combattimento
(Da "La Trebbia" del 1915 e "Albo d'Oro Nazionale")
Ballerini
Pietro
Bobbio
1898
Scomparso in prigionia
Malattia
(Da "Albo d'Oro Nazionale)
Chiapparoli
Giovanni
Bobbio
(Pavia)
1885
25/6/1917
Altopiano di Asiago
Ferite in combattimento
(Da "Albo d'Oro Nazionale")
Mozzi
Giuseppe
Bobbio
1893
8° Rgt.Alpini
Val Natisone
21/05/1916
Val d'Astico(Schiri)
Ferite in combattimento
(Da "Albo d'Oro Nazionale")
Rossi
Giovanni
di Luigi
Bobbio
(S.Maria)
1893
3° Rgt. Alpini
2/06/1915
(primo caduto bobbiese)
Monte Marlivker
Settore Tolmino
Ferite in combattimento
(Da "La Trebbia" del 1915 e "Albo d'Oro Nazionale")
Rossi
Giovanni
di Luigi
Bobbio
1899
2°Rgt.Artiglieria
da Montagna
15/06/1918
Monte Grappa
Ferite in combattimento
(Da "Albo d'Oro Nazionale")
Bellocchio
Cesare
Bobbio
1917
Sergente Maggiore
3° Rgt Alpini
Divisione Partigiana "Garibaldi"
8/03/1944
Praga(Bosnia)
Ferite in combattimento
Barilari
Vittorio
Bobbio
1912
Alpino nel 1° Rgt.Artiglieria Alpina
14/02/1944
Jugoslavia
Ferite in combattimento
Tagliani
Giuseppe
Bobbio
1921
Alpino nel 3° Rgt.Alpini
Val Susa
7/05/1942
Montenegro
Ferite in combattimento
Alpini bobbiesi decorati al Valor Militare
Annoni
Giovanni
Bobbio
Croce di guerra al Valor Militare
Fronte greco
16 novembre-30 dicembre 1940
Bellocchio
Cesare
Bobbio
1917
Medaglia d'Argento
Praga(Bosnia)
Sottufficiale radiotelegrafista già distintosi per capacità e senso del dovere. Nel corso di un combattimento accesosi improvviso contro preponderanti forze nemiche, ricevuto l'ordine di trasmettere un importante ed urgentissimo messaggio da cui dipendeva l'esito dell'azione e la salvezza di un grosso reparto in sfavorevolissime condizioni di ambiente e sotto l'imperversare di violentissimo fuoco di armi automatiche e di mortai nemici, attendeva con tenacia alla ricerca del difficile collegamento. Divenuta criticissima la situazione mentre ormai vicina divampava furiosa e cruenta la lotta ed immanente si faceva la minaccia di un completo accerchiamento da parte dell'avversario, rifiutava di abbandonare il proprio posto e continuava nei tentativi fino a quando il successo non coronava i suoi sforzi. Unitosi poi agli altri compagni nella strenua resistenza, cadeva colpito a morte da una raffica nemica.
8 marzo 1944
Bellocchio
Giuseppe
Bobbio
1889
Medaglia d'Argento al Valor Militare
Roccioni di Loro
Comandante interinale del battaglione, sprezzante del pericolo e costante esempio di serenità ed intrepidezza pei suoi soldati, nonostante fosse fatto segno a violentissimo fuoco di fucileria e mitragliatrici, guidava brillantemente il reparto all'assalto, riuscendo a penetrare in due successive trincee nemiche. Costretto dalla violenza dei contrattacchi nemici a retrocedere, ed assunto il comando della linea, ripiegava ordinatamente, sotto il violento fuoco avversario, su una posizione retrostante, sulla quale organizzava nuova resistenza.
10 settembre 1916
Bellocchio
Giuseppe
Bobbio
1889
Medaglia di Bronzo al Valor Militare
Alpe di Cosmagon
Comandante di un battaglione, dava bella prova di iniziativa, calma, ardimento e prontezza di decisioni.
16 ottobre 1916
Bertinat
Abele
Bobbio
Croce di guerra al Valor Militare
Collette di Filly
22 giugno 1940
Chiapparoli
Giuseppe
Bobbio
Croce di guerra al Valor Militare
Colle delle Pelouse-Monte Rond
"Portamunizioni di squadra mortai, per tutta la durata del combattimento, sotto il tiro delle artiglierie e delle armi automatiche nemiche, riforniva di munizioni la propria arma dimostrando calma e serenità esemplari. Colpito da principio di congelamento agli arti inferiori a causa delle condizioni di clima decisamente avverse, rifiutava di essere inviato all'ospedale e vi accondiscendeva solo al termine del combattimento"
21-24 giugno 1940
Chiapparoli
Giovanni
Bobbio
(Pavia)
1895
Medaglia d'Argento al Valor Militare
Altopiano di Asiago
"Tiratore di mitragliatrice, mentre sotto l'intenso fuoco nemico adempiva il suo dovere, veniva gravemente ferito: medicato sommariamente, rifiutava d'abbandonare il posto e incitava i compagni alla lotta, finchè, colpito una seconda volta, moriva stringendo a sé la sua mitragliatrice".
25 giugno 1917
Losini
Natale
Bobbio
Croce di guerra al Valor Militare
Monte Rond
23 giugno 1940
Olmi
Roberto
Bobbio
1890
Croce di guerra al Valor Militare
Cima Campo
"Per la fermezza e l'abnegazione di cui diede prova, alla testa del suo reparto, in condizioni di resistenza disperate"
12 Novembre 1917
Olmi
Roberto
Bobbio
1890
Medaglia d'Argento al Valor Militare
Fiume Don (Fronte Russo)
"Comandante di un raggruppamento tattico, lo guidava con perizia e valore, distinguendosi per decisione ed audace azione di comando. In una situazione particolarmente critica si dimostrava dominatore di ogni difficoltà e suscitatore di energie, riuscendo a sbaragliare un nemico agguerrito e feroce e ristabilendo la situazione molto compromessa".
17 agosto 1942 - 12 settembre 1942
Repetti
Luigi
Bobbio
Medaglia d'Argento al Valor Militare
S.Onofrio
11 agosto 1944
Rossi
Giovanni
di Luigi
Bobbio
1899
Medaglia di Bronzo al Valor Militare
Monte Grappa
Comandato di pattuglia, durante una giornata di violenta offensiva, si schierava in trincea con la Fanteria, arditamente concorrendo alla strenua difesa fino all'estremo.