Italo Londei era nato il 18 ottobre del 1921 a Pieve Tesino in provincia di Trento ed era arrivato a Bobbio, bimbetto di pochi anni, al seguito del padre Egildo, maresciallo dei carabinieri, e della mamma Pierina Uccelli. Aveva compiuto tutta la sua carriera scolastica, elementari, medie e l'istituto magistrale diplomandosi maestro, nel capoluogo della Valtrebbia, dove si era sposato ed era diventato padre di due figli: Tiziano, insegnante di biologia in un istituto tecnico milanese, e Raffaella, art director alla casa editrice Condè Hast per Vogue bambini.

Chiamato alle armi era diventato tenente dell'artiglieria alpina. Dopo l'armistizio dell'8 settembre, e il generale sbandamento di tutte le forze militari italiane,aveva abbracciato la causa della Resistenza combat­tendo per la liberazione dal nazifascismo. Ritor­nato a Bobbio era entrato a far parte della Divisione Giustizia e Libertà Piacenza del comandante "Fausto" (Fausto Cossu). In qualità di ufficiale del Regio esercito e grazie alle conoscenze acquisite durante il servizio militare, il 1° agosto 1944, durante il riordino della Divisione, era stato messo al comando della 7^ brigata "Alpini Aosta".

Dopo la guerra aveva fatto il maestro a Bobbio e in vallata, ma negli anni '60 si era trasferito a Milano per agevolare gli studi ai figli.

Morì a 90 anni. Del Boca:«Aveva salvato quasi tutti i 307 uomini dal rastrellamento invernale e aiutato tante persone a fuggire in Svizzera».

Italo Londei, eroe della lotta partigiana piacentina e comandante molto amato, prima di diventare partigiano aiutò ufficiali alleati ed ebrei a fuggire in Svizzera. Un particolare inedito che ci rivela Angelo Del Boca, ex docente universitario e studioso del colonialismo italiano, torinese e partigiano in Valtrebbia nella brigata di Italo Londei.

(A. Del Boca)

«Un comandante meraviglioso, ero talmente legato a lui che l'ho seguito in ospedale, a Milano, nell'ultimo mese e poi ho saputo che era stato trasferito a Bobbio». Piange Del Boca, come un figlio rimasto orfano del padre, a fatica riprende il filo dei ricordi che lo legano alla figura di Londei, ai mesi della dura lotta, dall'estate del 1944 al 25 aprile del '45, tracciando una immagine leggendaria del comandante.

«Aveva un coraggio straordinario, era sempre il primo davanti agli altri, conosceva la sua zona a menadito per cui quando ci diceva di andare in un posto gli obbedivamo ciecamente». Londei da ragazzino andava per funghi ed aveva imparato a conoscere ogni anfratto di quelle montagne. Conoscenza che gli era servita a salvare i suoi uomini dal rastrellamento e dal duro inverno '44-'45.

(Riproduzione fotografica della cartografia relativa ai rastrellamenti durante l'inverno 1944-1945)

«Avevamo difeso la zona del Penice e di Zavattarello al suo comando, ma le nostre forze non erano equiparabili a quelle del nemico e purtroppo dovemmo lasciare la zona. Da quel momento iniziammo un continuo pellegrinaggio sulle montagne per evitare di esser sterminati dai tedeschi. In quell'occasione ricordo che fu l'unico comandante a salvare quasi tutta la sua brigata, di 307 uomini».

Un risultato che Del Boca sottolinea con vigore: «Ci aveva sistemati molto bene e fu facile la ripresa a febbraio». La brigata era costituita da circa 240 alpini fuggiti dalla Monterosa, e da un'ottantina di locali. «La Monterosa fu una creazione dei fascisti, incapaci di fronteggiare la Resistenza, che avevano mandato gli alpini all'addestramento in Germania, sette mesi durissimi, e fummo poi mandati a combattere contro i ribelli, cosi li chiamavano. Invece molti di noi, catapultati in luoghi lontani dalle nostre case (Del Boca è piemontese ) scappammo e ci unimmo ai partigiani».

Del Boca rivela di Londei un'attività poco nota:«Italo, prima di fare il partigiano, per molti mesi aiutò parecchia gente a rifugiarsi in Svizzera, so che accompagnò personalmente, oltre confine, ebrei e ufficiali alleati prigionieri dei nazisti. Ma ricordo che anche la moglie, all'epoca fidanzata, era un'attivista della resistenza, una donna di grande coraggio, andava a rubare, o d'accordo con i militari di guardia, prelevava le armi a fascisti e tedeschi e si portava addosso pezzi di mitragliatrici per consegnarli ai partigiani». Recentemente Londei aveva trasmesso a Del Boca una pergamena con la nomina di tenente: «Mi era mancato all'epoca, e mi ha fatto molto piacere, anche se non ha alcun valore ufficiale è un segno della sua grandezza di uomo».

(Maria Vittoria Gazzola)


Maria Luisa Bressani, nipote dell'Alpino Alfredo Ragaglia, racconta....

Italo Londei, comandante partigiano della VII Brigata di Giustizia e Libertà ricorda Alfredo Ragaglia, fratello minore di Ida (mia madre).

"Dopo la famosa battaglia del Monte Penice del 24.8.1944 e il conseguente abbandono di Bobbio da parte dei partigiani della Quarta Brigata, giunsero in questa città gli alpini della Divisione "Monterosa" col compito di presidiarla. Fra questi militari era l'alpino Alfredo Ragaglia, bobbiese non solo di nascita. Egli venne a trovarsi in una situazione del tutto particolare in quanto militare di fiducia del Maggiore Della Valle, comandante del Battaglione Alpino "Aosta", e nello stesso tempo compagno ed amico di quanti fra i giovani bobbiesi si erano schierati con i partigiani del luogo. In particolare, amico e compagno del Tenente Virgilio Guerci, comandante della Quarta Brigata Partigiana, e del sottoscritto Tenente Italo Londei, comandante della Settima Brigata Partigiana.

Mi è noto che l'alpino Ragaglia seppe comportarsi nel modo migliore fornendo al Maggiore Della Valle informazioni rassicuranti sui partigiani bobbiesi, informazioni che migliorarono i rapporti sia fra i nostri avversari e la popolazione locale sia fra i militari dei due fronti, avversari sì, ma mai veri nemici. Il Maggiore Della Valle ebbe il merito di comportarsi in modo sempre leale e corretto per quanto lo consentiva la sua situazione militare e proprio lui permise ad Alfredo di farsi partigiano scortandolo personalmente fuori da Bobbio.

Giunto fra noi della Settima Brigata, l'alpino Ragaglia fu accolto con gioia da tutti, compresi quei suoi compagni alpini che in precedenza erano stati prelevati o avevano disertato dal proprio reparto.

Nella Settima Brigata la sua opera si rivelò subito preziosa grazie alla sua conoscenza della toponomastica del territorio: era una guida esperta e sicura ogni volta che si doveva staccare una nostra pattuglia. Fu un partigiano valente sotto tutti gli aspetti, per serietà , fedeltà , onestà e spiccato senso del dovere. Prese parte a tutte le azioni di guerra come valoroso combattente e fu capace di districarsi anche dalle più drammatiche situazioni del duro rastrellamento invernale.

Era sempre al mio fianco, sereno, generoso e fiducioso. Di una fiducia che io ricambiavo con riconoscenza, non tanto come comandante quanto come amico fraterno".

Al capezzale dell'amico Alfredo Ragaglia

"Londei stava immobile, dritto in piedi a fianco del letto di morte di mio zio, e così restò per molto tempo. In silenzio solo incurvato sulle spalle perchè chino verso il letto in atto di umana condivisione.

Volli conoscerlo e nacque così il saggio sulla sua pittura pubblicato su Archivum (n. )ma anche il dono a me del suo libro in cui narra la storia della VII GL da lui fondata in Valtrebbia. La moglie Giuseppina faceva da interprete dato che Londei era un poco sordo e di lei, alla mia prima visita, Londei con lo stesso portamento dritto da ex ufficiale mi disse prima di accogliermi nella loro casa che "era molto malata e stava seguendo una cura sperimentale".

"Il quadro è il bellissimo Ponte Gobbo di Bobbio dipinto da Italo Londei nell'immediato dopoguerra e poi replicato e di cui Londei stesso, fondatore della VII^ GL Valtrebbia e capo partigiano di mio zio Alfredo, mi ha fatto omaggio."

Lettera di Italo Londei (fondatore VII GL in Valtrebbia)

su come si originò la sua passione per la pittura

"Fin da bambino osservavo mio padre ogni volta che s'impegnava in disegni a carboncino e anche in dipinti, soprattutto d'ambiente paesistico. Mi divertivo molto e mi sentivo orgoglioso per le sue buone qualità d'artista.

Passato alle scuole elementari ebbi modo di far subito notare ai miei signori insegnanti le mie seppur modeste attitudini al disegno, tanto da meritare l'incarico di "decorare" i quaderni di bella copia di tutti i miei compagni di classe: sia preparando la lettera iniziale con disegno e colori, come ammiravo nelle pagine di vecchi manuali, sia con disegni adatti ad illustrare gli scritti successivi. Ricordo soprattutto gli apprezzamenti del mio maestro di quarta classe, Sig. Antonio Lombardi, noto artista non solo come filodrammatico ma anche per le sue originali intuizioni nell'uso del colore in arte grafica.

In classe mi era riservato un vano a fianco della cattedra, dove potevo cimentarmi nel lavoro affidatomi senza essere distratto dai compagni. In terza classe ebbi l'incarico di riprodurre un ramo di ciliegio con frutti maturi, che un compagno aveva portato dalla campagna per farne dono a tutta la classe. Era un ramo piuttosto grosso, con molti frutti e foglie. Per questo motivo mi fu dato un foglio grande e quant'altro potesse servire, compresi i colori a pastello. Terminato il lavoro, la maestra lo portò al suo collega maestro Lombardi e insieme decisero di inviarlo a Roma, ad una mostra d'arte infantile. Ebbi la sorpresa di ricevere il primo premio: insieme alle parole di elogio, una somma di Lire 400. Un mio compagno di allora, incontrato di nuovo solo qualche anno fa, ebbe a raccontarmi qualcosa che ignoravo: nei momenti di maggiore impegno come illustratore, istintivamente mostravo la lingua tra i denti; credendo che fosse quello il segreto del mio successo, i compagni avevano provato a disegnare con la stessa "tecnica", ma non con lo stesso risultato!

Passato alla scuola media e poi all'istituto magistrale, sviluppai la mia attitudine aiutando i compagni nei loro disegni e dipingendo piccoli quadri per abbellire un lungo e ampio corridoio nell'edificio comune alle due scuole. Visto l'alto voto in disegno sulla mia pagella dell'ultimo anno, la commissione dell'esame di abilitazione mi aspettò al varco il giorno della prova e mi chiese se avessi studiato i Promessi Sposi. Risposi che conoscevo bene il romanzo del Manzoni e fossero loro, i Professori, a chiedermi quale scena illustrare. La scelta cadde sull'incontro di Don Abbondio con i Bravi ed io mi cimentai alla lavagna con i gessetti colorati. Il voto sulla pagella fu così riconfermato sul diploma magistrale. In seguito, avendo iniziato a frequentare il Politecnico di Milano quale studente di ingegneria civile, migliorai la tecnica del disegno.

Dopo il servizio militare, la guerra, e il matrimonio, per molti anni dedicai la maggior parte del mio tempo alla famiglia e al lavoro di maestro elementare, prima in varie sedi della Val Trebbia e poi a Milano. A scuola comunque mi tenevo in esercizio come illustratore, attività che mi veniva richiesta frequentemente. Le mie buone qualità di illustratore e di grafico non sfuggirono neppure al clero di Bobbio, che ricorse a me due volte: per preparare una pergamena in occasione della nomina di Monsignor Zambarbieri a Vescovo di Guastalla e, successivamente, una pergamena per l'inaugurazione del nuovo altare della chiesa di San Colombano a Bobbio. Il parroco di allora, Monsignor Malacalza, insistette perchè io ponessi la mia firma sulla pergamena, che poi fece murare nell'altare. Dopo il pensionamento ho avuto più tempo per perfezionare la mia arte. Recentemente ho allestito a Bobbio una mostra di soggetti in bianco e nero e anche colorati, ma comunque ad inchiostro. Le opere più importanti, ad olio su tela, sono sempre rimaste nella mia casa, salvo alcune regalate a parenti e amici, e non sono mai state mostrate in pubblico.

I miei soggetti sono quasi sempre tratti dal mondo naturale. Scelgo il soggetto dopo un attento esame, spesso ripetuto durante la giornata, della luce e delle ombre, ombre proprie e ombre portate, e del conseguente mutare del tono delle tinte. Ogni dettaglio ha importanza nel rendere la bellezza delle cose naturali. Poi procedo per gradi: un disegno accurato a matita seguito da uno ad inchiostro di china, che a sua volta serve da supporto alla stesura delle tinte. La mia non è arte informale. Chi osserva una mia opera deve subito riconoscere la situazione e provare le stesse emozioni che il soggetto ha suscitato in me nel corso dell'opera".

Questo quadro ritrae delle bambine in gioco nel parco Sempione vicino a casa a Milano.

Particolare di Parco Sempione

Quadri di Italo Londei nella sua casa.

 

Memoriale di Italo Londei

 

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